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L’esperienza di Emanuela

Emanuela Carlucci, 30 anni di Taranto, ha conseguito la laurea magistrale in Filologia Moderna all’Università di Firenze è partita con il Servizio Civile nel 2017.

Emanuela, perché hai deciso di partire?

Il mio è sempre stato un desiderio. Partecipare al Servizio Civile Nazionale all’estero ha fatto parte per diversi anni di quell’insieme di esperienze che si sognano a lungo e che si spera di realizzare prima che sia troppo tardi. A tenere vivo questo desiderio era la volontà di andare oltre le mie frontiere personali.

Stiamo vivendo tempi in cui la diversità inquina e non arricchisce. Per capire gli altri è necessario mettersi nelle loro scarpe e camminarci parecchio. Ho sempre visto il Servizio Civile come un modo per lavorare con l’Altro, con una cultura sconosciuta, in contesti in cui è necessario essere sempre pronti a modellare le proprie competenze e capacità per scoprirne di nuove e tornare poi, forse, a casa con un bagaglio unico.

Quando si fa domanda per partecipare al servizio civile si consulta la lista delle ONG accreditate, dove ci sono le informazioni sui paesi di intervento e i progetti in corso. Come sei arrivata in Senegal, è stato per il paese o per il progetto del COMI?

La mia partenza per il Senegal è speciale e ha sorpreso anche me. Ricordo ancora le notti insonni passate a studiare tutti i progetti di Servizio Civile: la mia “geografia del desiderio”, infatti, non escludeva nessun Paese.

Ho filtrato le mie ricerche attraverso il settore d’intervento, nel mio caso quello dell’educazione, campo in cui mi sentivo più preparata, ma sinceramente al Senegal non ci avevo mai pensato. Lavorare con i richiedenti asilo nei mesi prima dell’uscita del bando è stato giocoforza nella scelta del progetto. Alcuni dei miei studenti, infatti, erano stati dei talibé (i bambini della scuola coranica) o non avevano avuto la possibilità di studiare, nonostante la voglia di imparare a leggere e scrivere animasse ogni mattina i loro occhi. Tra loro ho trovato dei cari amici che mi hanno insegnato a non dimenticare l’importanza che l’istruzione svolge nell’indipendenza e nella realizzazione di ognuno di noi. È grazie a loro che oggi sono qui a lavorare con i bambini di Kaffrine. Grazie al loro incoraggiamento a partire per realizzare qualcosa di bello nella loro terra.

Quale è stata la prima impressione una volta arrivata a Kaffrine?

Suonerà sicuramente banale, ma ciò che mi ha preso alla sprovvista è l’essere “bianca” e rappresentare l’Occidente, piuttosto che essere Emanuela partita per il Servizio Civile. Essere per la prima volta straniera in una terra che però, paradossalmente, ricorda casa mia e alcuni paesaggi della murgia pugliese: la terra rossa e secca, certi sentieri di campagna, case solitarie in km di natura arida e selvaggia. Ho avuto, però, anche l’impressione di essere importante per la gente del posto. Qui non solo è buona educazione salutare chiunque si incontri per strada, ma è anche doveroso informarsi sul suo stato di salute e su come è andata la sua giornata. Per la prima volta mi sento, dunque, straniera nella sua accezione più bella: l’essere ospite.

Prima della partenza hai partecipato a un periodo di formazione durante il quale, tra le tante cose, vi siete preparati e informati sulla realtà del paese di destinazione. Ora che sei qui, cosa ti ha sorpreso positivamente del Senegal e cosa negativamente?

L’Africa è tutto ciò che non si dice. Mi ha sorpreso il tripudio di colori e suoni che avvolge ogni cosa, la profondità del silenzio in certi momenti in un Paese dove l’aria si veste sempre di qualche ritmo, di preghiere che si fanno canzoni anchenelle ore della notte. Qui la fede è fortissima e, proprio per questo, nessun Dio discrimina l’altro e c’è una pacifica convivenza di religioni. Mi ha stupito l’assenza dell’individualismo in una società dove tutti si aiutano a vicenda, date le ostiche condizioni ambientali e socioeconomiche, una società dove tutti sono “fratelli”. Mi meraviglia la forza delle donne, i loro corpi fieri che non sembrano mai stanchi nonostante il duro lavoro che affrontano dalle prime luci dell’alba.

Dall’altro lato mi fa soffrire la totale assenza dello Stato nelle infrastrutture, nella sanità e nell’educazione. Fa male vedere un popolo laborioso pregare i tubab (gli occidentali) di regalarli dei soldi. Questa non è solo una mendicanza tout court, dato che il chiedere aiuto ai “fratelli” fa parte della cultura senegalese ed è un ammirabile segno d’umiltà, ma è piuttosto un perdurare dei precedenti storici, una mancanza di fiducia nei propri mezzi e un’inconscia sottomissione all’Occidente. Ogni giorno, infine, non smette di stupirmi il degrado e l’inquinamento ambientale. Le innumerevoli discariche a cielo aperto, nel bel mezzo di paesaggi sublimi, sono terribili, anche se mai al pari dei bambini mendicanti ai bordi delle strade, con i loro piccoli volti solcati da quelle preoccupazioni e tristezze proprie degli adulti.

Un consiglio per i tuoi coetanei che vorrebbero vivere la stessa esperienza?

A chi vorrebbe vivere quest’esperienza consiglio solo di lasciare a casa due parole: certezza e fallimento. Nessuna certezza di sé stessi e nessuna impressione di non poter contribuire in nessun modo, tanto sono difficili i settori di intervento. Consiglio di essere flessibili e offrire il meglio di sé, essere pronti a comprendere che la ricchezza e il successo sono molto spesso nelle piccole cose. Nulla forse sarà come si crede, tutto sarà un passo verso il cambiamento personale e, si spera, verso quello del Paese di destinazione.

Infine, si dice che il Servizio Civile Nazionale sia il trampolino di lancio per intraprendere la “carriera” del cooperante. Sai già cosa vorrai fare una volta terminata questa esperienza?

Partire come filologa e rinascere cooperante sarebbe improbabile, ma non impossibile. Quest’esperienza mi sta sicuramente offrendo degli strumenti per conoscere il mondo della cooperazione, a cui prima ero estranea e digiuna. L’unica certezza è che, qualunque sarà il mio futuro, avrò sempre come ispirazione la resilienza che il Senegal fino ad ora mi ha mostrato e mi sta insegnando.