Comi

Riparte “Odiare non è uno sport”

Campioni e campionesse, società sportive, associazioni, 
scuole e studenti uniti per dire no all’hate speech nello sport

Riparte la campagna

ODIARE NON E’ UNO SPORT

Un progetto per prevenire e contrastare i messaggi d’odio online in ambito sportivo

Secondo la ricerca di Coder (UniTo) del 2020, sulle pagine Fb delle 5 principali testate sportive nazionali tre post su quattro ricevono commenti di hate speech

Veicolo di crescita e confronto, palestra di vita, lo sport  coinvolge milioni di ragazzi e ragazze nel nostro paese ed è un importante terreno di inclusione e aggregazione sociale. Allo stesso tempo però lo sport è divenuto anche, e sempre più, terreno di scontri, discorsi e gesti d’odio, che nella dimensione digitale si potenziano e diffondono in maniera esponenziale.

È così che, anche grazie all’aiuto di diversi campioni azzurri, in occasione della Giornata Mondiale dello Sport, riprende nuovo slancio la campagna #Odiarenoneunosport, sostenuta dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promossa dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo (Cvcs), con un fitta rete di partners su tutto il territorio nazionale.

Avviata nel 2020 con un primo studio del fenomeno affidato all’Università di Torino (Centro Coder) che ha elaborato il primo Barometro dell’Odio nello sport, monitorando i principali social media e le testate giornalistiche sportive, la campagna ha raccolto le testimonianze di campioni dello sport azzurro come Igor Cassina, Paola Egonu, Stefano Oppo, Alessia Maurelli, Frank Chamizo, Valeria Straneo, Angela Carini e tanti altri. Al loro fianco le straordinarie storie di  inclusione sociale avvenute attraverso lo sport sul territorio italiano e l’adesione spontanea di decine di sportivi, professionisti e dilettanti, associazioni, scuole o semplici cittadini che sostengono la campagna ritraendosi con la scritta Odiare non è uno sport . Qui la Gallery

 

Riparte oggi con nuovo slancio non solo la campagna di sensibilizzazione, che si svolgerà contestualmente alla delicata fase della preparazione Olimpica degli Azzurri verso Parigi 2024, ma anche un importante progetto di prevenzione e contrasto all’hate speech. Progetto che porterà alla realizzazione del secondo Barometro dell’Odio nello sport e al coinvolgimento in percorsi formativi interattivi e multimediali sulle dinamiche dell’odio nello sport 600 docenti di scuole secondarie, 540 allenatori sportivi del target giovanile, 300 dirigenti di società/ASD, 2200 studenti di scuole secondarie di I e II grado e 900 giovani sportivi della fascia 11-18.

Saranno costituite anche 9 squadre territoriali di attivisti digitali  anti-odio, composte da studenti e giovani coinvolti nelle attività di formazione, che condurranno azioni di contrasto all’hate speech sportivo in chat e social frequentati dai giovani, attivando reazioni e risposte di valenza dissuasiva ed educativa.

Tutti insieme, con nuovo entusiasmo e determinazione e un obiettivo comune: dire no all’odio nello sport e nella vita.

Per interviste e contatti: ufficiostampa@cvcs.it, 3469546862

Il progetto è sostenuto dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo e promosso dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo, in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (ADP, Aspem. CeLIM, COMI, COPE, LVIA, Progettomondo),  gli enti di promozione sportiva CSI e Libertas, Informatici senza Frontiere e Impactskills srl per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (UniTo e UniTs) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica

Semi di speranza

Semi di speranza

Uno, due, tre e quattro. Un piede davanti all’altro, senza perdere l’equilibrio, e poi si ricomincia. Uno, due, tre e quattro. I semi di fagioli scivolano dalle nostre mani nel solco tracciato dall’aratro. Poi li pestiamo a piedi nudi sulla terra, facendo attenzione a non uscire dai solchi. “Togliti le scarpe!” mi aveva detto Marta, che coglie ogni occasione possibile per camminare nella natura a piedi scalzi. Io, all’inizio un po’ titubante, le avevo tenute, ma poi le diedi ragione: si riempivano di terra e non avevo abbastanza controllo sul movimento del piede. Quando le tolsi, il contatto con la terra soffice e umida, appena rimestata dall’aratro, fu una sensazione che non volevo più lasciare, il contatto quasi inebriante con la Ñuke Mapu (come chiamano i Mapuche la Madre Terra), come se risvegliasse in me qualcosa di ancestrale che non so se avessi mai conosciuto. “Il camminare ti entra da terra” diceva una canzone che cantavamo sempre agli scout. Sotto un sole cocente, fra gli odori della campagna sureña (del sud del Cile), compivamo il gesto imperituro della semina, ripetendolo a ogni passo come una sorta di meditazione, di mantra.

 

Noi volontari – Alvise, Manuel, Marta e io – in servizio civile con l’ONG COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo) ci sentivamo onorati di essere stati invitati dal nostro partner locale, Medema (Mujeres Emprendedoras de Malalhue), a prendere parte alla semina dei fagioli, che con molti sacrifici, scarsi mezzi e un magro ricavo, da tre anni porta avanti. Per noi, cresciuti in grandi città, fu un’esperienza impagabile. Per Manuel e Marta era la seconda volta che volentieri prendevano parte a questo evento comunitario, che rientra nella parte agricola del nostro progetto. Quest’ultimo intende sostenere la minoranza mapuche di Malalhue, nel sud del Cile, dove ci troviamo da luglio scorso. I Mapuche sono un popolo indigeno che vive nelle zone meridionali del Cile e dell’Argentina e che, secondo l’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), rappresenta il 10% della popolazione cilena e il 31% di quella della comuna di Lanco, in cui ricade Malalhue. Il terreno che stavamo seminando si trova all’interno della Comunità Indigena rurale di Panguinilahue Alto, nelle vicinanze di Malalhue. Il progetto di servizio civile in cui siamo impegnati intende supportare la minoranza mapuche locale tramite la valorizzazione del patrimonio culturale indigeno e il sostegno ai giovani locali in un percorso di formazione culturale e artistico, per metterli in condizione di programmare concretamente il proprio progetto di vita personale e professionale. Fra le varie attività previste rientra l’aiuto nel lavoro agricolo a Medema, che è un’organizzazione al femminile di contadine e artigiane, prevalentemente mapuche.

“Cantaci una canzone di Violeta Parra!” mi disse Marta. “Para olvidarme de ti voy a cultivar la tierra” intonai, cantando l’inizio de La jardinera, mentre continuavamo a seminare, per poi continuare con El guillatún e Gracias a la vida.

La parte della semina (ngan, come si dice in mapunzungun, la lingua dei Mapuche), che preferivamo era quella in cui bisognava coprire ogni solco, con i piedi che si immergevano nella nuda terra e dai due cumuli laterali la portavano al centro. “È come accarezzare la terra!” dissi, al che Marta annuì sorridendo con i suoi occhi verdi.

In un momento di pausa, mentre chiacchierava con le donne di Medema, si girò distratta dal sonoro russare di Alvise e vide lui, Manuel e me distesi lunghi lunghi per terra, sprofondati in una “siesta a pierna suelta”, come dicono in spagnolo, un sonno imperturbabile (“a gamba sciolta”, letteralmente). Eccoci là, tre cittadini catapultati nel lavoro dei campi! Personalmente era proprio per questo che avevo voglia di sporcarmi le mani, di lavorare sotto al sole cocente: perché il luogo in cui si è nati e cresciuti non può dire l’ultima parola su ciò che siamo, che invece è dato dalle nostre scelte, dalle sfide che accettiamo – nonostante le difficoltà che comportano –, come quella di vivere per un anno dall’altra parte del mondo, in una realtà completamente diversa da quella a cui eravamo abituati. Ci siamo rifocillati con acqua e farina tostata, un alimento diffuso in questa zona ed apprezzato perché disseta ed è nutriente. Dopo la nostra siesta, abbiamo ascoltato di credenze ancestrali mapuche sulla semina: ad esempio, non bisogna seminare il mais quando si ha fame, altrimenti i chicchi cresceranno piccoli e secchi. Del resto, la terra ha un’importanza fondamentale nella cosmovisione e nella spiritualità dei Mapuche, tanto che il loro stesso appellativo deriva da mapu, “terra”, e che, “gente”, e viene tradotto come “gente della terra”. In un territorio in cui quest’ultima viene spesso inquinata o prosciugata dalle aziende forestali, e in cui l’uomo molte volte intrattiene con essa solo legami commerciali, i Mapuche continuano ad avere con la terra un profondo legame spirituale e sentono di appartenerle piuttosto che esserne i proprietari. Aveva detto bene Marta: quella semina era un’esperienza spirituale. Perciò, speriamo che  quelli che abbiamo piantato a Panguinilahue Alto, in quel giorno assolato di novembre, siano semi di resistenza. Ma, ancora di più, il nostro auspicio è che siano semi di speranza, parafrasando il motto del COMI “costruttori di speranza”.

Appena finimmo eravamo quasi esultanti: ci guardammo soddisfatti, fieri. Avevamo condiviso tutto di quella giornata: la fatica, il sudore, il cibo, le conversazioni, le risate. Le donne di Medema si misero distese all’ombra al bordo del campo, a riposare guardando il frutto del loro lavoro. Facemmo altrettanto.

 

Dato che siamo un’ONG italiana, per pranzo non poteva mancare una magnifica insalata di pasta, che Alvise cucinò per tutti. Quando andammo a mangiare avevamo tutti le mani (e i piedi) pieni di terra. Tutti si sciacquavano soltanto le mani, senza usare sapone. Vedendo che io non facevo altrettanto, una delle donne di Medema mi chiese se volessi sciacquarmele, ma io domandai se ci fosse del sapone. “È terra, quando morirai sarai terra anche tu” fu la sua lapidaria risposta. Sul momento ero stupito e perplesso e andai comunque di nascosto a lavarmi le mani in bagno. Ma ora, pensandoci, lo collego al profondo legame che hanno i Mapuche con la Ñuke Mapu. Mi rendo conto, quindi, che anche quest’episodio fa parte delle differenze culturali che sono il nostro pane quotidiano qui, così difficili da gestire a viverle sulla propria pelle, eppure così affascinanti. Solo ora, ripensandoci, mi rendo conto di quello che questi piccoli dettagli quotidiani significano – se noi siamo in grado di dare loro questo significato –, cioè quella sensazione di guardare il mondo a testa in giù, con occhi finalmente nuovi, che sono usciti da quella bolla di Occidente in cui siamo nati e cresciuti e che sembrava un destino ineluttabile. È una sensazione di freschezza, eccitazione, curiosità. Una sensazione che mi fa sentire vivo.  

 

 

Luigi Donadio,

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

 

21 febbraio 2023

Natale 2022

Non lasciarti sfuggire

gli imperdibili prodotti

natalizi del COMI.

 

 

Quest’anno li

troverete dentro coloratissimi sacchetti cuciti a mano dalle nostre infaticabili volontarie Rosalba, Anna Maria, Novilia e Lorenza!!!

 

 

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A scuola per una società senza discriminazioni

comunicato stampa Roma 17 marzo 2021

21 – 27 marzo 2021

XVII Settimana di azione contro il razzismo

 “A SCUOLA PER UNA SOCIETÀ SENZA DISCRIMINAZIONI” IL PROGETTO CHE PROMUOVE AZIONI POSITIVE DI INCLUSIONE FIALIZZATE ALLA RIDUZIONE DELLE INEGUAGLIANZE.

In occasione della prossima XVII Settimana di azione contro il razzismo, prevista dal 21 – 27 marzo 2021, è stato avviato il progetto FOCSIV “A scuola per una società senza discriminazioni”, con la collaborazione di COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, socio romano della Federazione, e finanziato da UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razzialil’ufficio deputato dallo Stato italiano a garantire il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone, indipendentemente dalla origine etnica o razziale, dalla loro età, dal loro credo religioso, dal loro orientamento sessuale, dalla loro identità di genere o dal fatto di essere persone con disabilità.

Il progetto vuole essere una risposta concreta ai fenomeni di razzismo e alle situazioni di discriminazione che si verificano in Italia e che non favoriscono lo sviluppo e la crescita di comunità e società inclusive, giuste e pacifiche permeate da una cultura etica e di valori sociali positivi.

Il coinvolgimento dei ragazzi delle scuole sul territorio nazionale e la realizzazione di progetti ed iniziative culturali volte all’informazione e sensibilizzazione contraddistinguono l’impegno di FOCSIV, iscritta al Registro UNAR dal 2019, e di COMI, consapevoli della necessità strategica di rispondere con attività concrete ai bisogni immediati, ponendo, nello stesso tempo, le basi per cambiamenti sostenibili di lungo periodo.

Il coinvolgimento delle scuole, luogo di formazione e di incontro per eccellenza, caratterizza l’azione della Federazione per educare e responsabilizzare i cittadini di oggi e di domani al cambiamento, verso una società che riconosca e garantisca i diritti altrui e nella quale la diversità sia un valore aggiunto di crescita personale.

La formazione e l’istruzione devono contribuire ad emancipare e dare pari opportunità alle fasce più vulnerabili della popolazione, soprattutto in questo momento nel quale gli effetti della pandemia provocata dal COVID- 19 hanno amplificato le diseguaglianze sociali. Ed è dalla scuola che bisogna partire per ricostruire comunità coese e solidali, che vedano nel protagonismo dei giovani e nella comunità educante le chiavi per sconfiggere gli atteggiamenti di chiusura, sospetto e paura nei confronti della diversità culturali, che costituiscono un ostacolo crescente per la realizzazione di un ambiente positivo di crescita dei giovani e di sviluppo delle potenzialità di tutti i cittadini italiani e di quelli di seconda generazione.

I giovani studenti ed i docenti saranno coinvolti, in modo partecipativo, in percorsi didattici ed educativi trasversali e interdisciplinari che proseguiranno altresì oltre la XVII Settimana contro il razzismo.

Grazie anche alle associazioni della diaspora straniera in Italia, con le quali FOCSIV e COMI collaborano da tempo, sarà promosso l’avvio di un rapporto virtuoso di interconnessione tra le scuole e gli attori sociali dei territori coinvolti, attuando un approccio integrato all’accoglienza e all’integrazione.

Sono, inoltre, previste attività di divulgazione, diffusione e visibilità dei contenuti dell’iniziativa come, ad esempio, una Campagna di comunicazione sui social, la realizzazione di un Caffè letterario digitale ed un evento finale in diretta su Facebook sabato 27 marzo 2021.

Per seguire tutte le novità e attività previste da FOCSIV e COMI e per partecipare all’azione contro ogni forma di discriminazione visita il sito della Federazione www.focsiv.it

Ufficio Stampa FOCSIV

Giulia Pigliucci Tel. 3356157253

Ufficio.stampa@focsiv.it

Il nostro Natale colorato!

La sofferenza, l’incertezza, la preoccupazione per il presente e il futuro sono stati spesso in questi mesi il pane quotidiano nostro e di quello di tanta gente che ci circonda.

Anche il COMI ha vissuto momenti difficili: pagare l’affitto, l’elettricità, le tasse comunali, lo stipendio dei collaboratori…tante uscite a fronte di scarse o inesistenti entrate.

È per questo motivo che, per la prima volta in tanti anni, abbiamo deciso di destinare i proventi di questa iniziativa natalizia (al netto ovviamente dei costi sostenuti per realizzarla) al COMI per le sue necessità più impellenti. Infatti, se la struttura non è in grado di funzionare dignitosamente, tutte le attività che da essa originano rischiano di vanificarsi.

Con gioia e speranza abbiamo deciso quindi di ospitare nel nostro sito oggetti che esprimono la bellezza, il colore, la creatività, la semplicità, il lavoro delle mani, e il frutto della terra.

Vogliamo condividere tutto ciò con voi, certi che saprete apprezzare le nostre proposte. Concedetevi un momento di relax curiosando tra le immagini di questi oggetti.

Clicca sull’immagine per scoprire le nostre proposte!

Col cuore e la stima di sempre auguriamo a tutti

Buon Natale.

Il Presidente e lo staff del COMI

PREGHIERA AL CREATORE

 

Signore e Padre dell’umanità,
che hai creato tutti gli esseri umani

con la stessa dignità,
infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro,

di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane

e un mondo più degno,
senza fame, senza povertà,

senza violenza, senza guerre.
Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra,
per riconoscere il bene e la bellezza
che hai seminato in ciascuno di essi,
per stringere legami di unità,

di progetti comuni,
di speranze condivise.

Amen

(papa Francesco)

Generazione Greta

Avete mai sentito parlare della leggenda del filo rosso del destino?

Nella tradizione orientale, ogni persona porta sin dalla nascita un filo rosso annodato al mignolo della mano sinistra che lo lega in modo indissolubile alla propria anima gemella. Il filo ha come caratteristica quello di essere lunghissimo, indistruttibile e invisibile e serve a tenere unite due persone destinate prima o poi ad incontrarsi e a stare insieme per sempre.

Ora, mettiamo da parte quest’idea romantica e provate ad immaginare che esista un filo rosso per ogni servizio che usiamo ed ogni bene che acquistiamo: dalle serie su Netflix alle componenti di un computer, dalla benzina per la macchina al viaggio in aereo, tutto quello che usiamo e consumiamo nel quotidiano ci lega indissolubilmente a milioni di persone di tutto il mondo che estraggono la materia prima di cui è fatto il prodotto, o lo progettano e costruiscono, o ancora lo immettono nel mercato, offrono il servizio, si occupano dello smaltimento quando diventa rifiuto, e condividono con noi le conseguenze dell’inquinamento antropogenico (causato dall’attività umana).

È proprio questo il principio della globalizzazione: un groviglio fittissimo di vincoli ed interscambi che ci connettono nelle pratiche di consumo e produzione, nelle dinamiche sociali, economiche, ambientali ed istituzionali per cui ogni nostro comportamento ha delle ripercussioni su persone che vivono in altri Paesi – pensate alla crisi economico-finanziaria del 2007 nata negli Stati Uniti e poi diffusasi in Europa – e sul nostro pianeta – il cambiamento climatico vi dice qualcosa?

Lunedì 3 giugno il COMI ha partecipato alla conferenza “Generazione Greta: un passo avanti per l’Educazione alla Cittadinanza Globale. L’impegno e la coerenza delle politiche nell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” promossa dall’ASVIS all’interno del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2019.

Procediamo per gradi e per concetti: prima di tutto, cosa è l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile?

L’Agenda 2030 è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre del 2015 da 193 Paesi membri dell’ONU che ha messo sul tavolo temi reali, urgenti e drammatici, e che rappresenta l’impegno comune di trasformare il nostro mondo, e migliorarlo.

Come?

Attraverso il raggiungimento di 17 obiettivi universali, interconnessi ed indivisibili, entro l’anno 2030. 

Povertà, fame, salute, istruzione, parità di genere, acqua pulita e sicura, servizi igienico-sanitari, energia, lavoro dignitoso, innovazione, disuguaglianze, città sostenibili, consumo e produzione responsabile, cambiamenti climatici, biodiversità negli oceani e sulla terra, pace e partnership globali.

Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sono universali perché, in misura minore o maggiore, riguardano tutti noi, sia i Paesi più industrializzati che quelli in via di sviluppo, tutti i 7 miliardi di persone unite da un numero esponenziale di fili rossi, ma che abitano su un unico pianeta. Sono inoltre strettamente vincolati l’uno all’altro perché bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: crescita economica, inclusione sociale, tutela dell’ambiente. Facendo alcuni esempi, non si può assicurare la salute e il benessere per tutti, se non si riduce e contrasta l’inquinamento dei nostri oceani o dei vari ecosistemi terrestri, o ancora non si può incentivare una crescita economica duratura ed un lavoro dignitoso per tutti se non si forniscono opportunità di apprendimento paritarie per uomini e donne.  

Questo piano di azione condiviso è quindi governato da una visione integrata dello sviluppo che non riguarda solo l’ambiente, ma anche l’economia, la società, le istituzioni. E attenzione! È proprio questo che si intende per sviluppo sostenibile: un modello di benessere che soddisfa i bisogni e garantisce i diritti delle generazioni presenti senza compromettere la qualità di vita e le possibilità delle generazioni future.

In sintesi, l’obiettivo generale dell’Agenda 2030 è quello di rendere sostenibile, un modello di sviluppo che non lo è.

Penserete voi: e perché l’attuale modello di sviluppo non è sostenibile?

Perché gli attuali modelli di produzione e consumo non fanno i conti con il progressivo esaurimento delle risorse naturali – che non sono infinite! –  ed il cambiamento climatico, così come è insostenibile una crescita economica che produce ricchezza per pochi lasciando nella povertà milioni di persone destinate ad aumentare con la crescita demografica ed un sistema di governance internazionale incapace di affermare il diritto internazionale condannando a umiliazioni e sofferenze comunità scosse da conflitti armati. La sempre minor disponibilità di acqua dolce, la perdita della biodiversità, la scarsità dei combustibili fossili da cui dipende il nostro sistema energetico – le riserve di gas naturale, petrolio e carbone si esauriranno tra i 40 e i 100 anni -, la contaminazione dei terreni e l’inquinamento degli oceani da plastica, sono problemi reali che la comunità scientifica internazionale segnala da decenni, e che ogni giorno rafforzano l’urgenza di  imboccare una rotta di sostenibilità, quando ancora è possibile.

Per riassumere, un modello di sviluppo basato sulla crescita economica che tende all’infinito in un mondo di risorse finite non è sostenibile sotto ogni punto di vista.

Ma lo sviluppo sostenibile, per essere conseguito, necessita prima di tutto di una presa di coscienza del cittadino e dei “fili rossi” in cui è immerso e che muove, orientando il proprio vivere quotidiano verso comportamenti sostenibili nel tempo e nel rispetto delle persone, della società, del pianeta. A questo scopo, bisogna introdurre un altro concetto fondamentale: quello di Educazione alla Cittadinanza Globale (ECG).

Ne avete mai sentito parlare? Cosa si intende per l’Educazione alla Cittadinanza Globale?

Educare alla Cittadinanza Globale è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030, con l’obiettivo 4 che impegna la comunità internazionale a “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. In particolare, l’ECG è direttamente citata nel paragrafo 4.7: “Garantire entro il 2030 che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta a uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile.”

Dunque, l’ECG rappresenta un vettore di sostenibilità, uno strumento trasversale ed importantissimo per un’agenda che promuove il cambiamento, diffondendo sapere, abilità e valori tra i cittadini, al fine di consentire agli stessi di contribuire ad un mondo più inclusivo, più pacifico e più equo.

L’ECG è quindi un processo attivo e trasformativo di apprendimento che mette al centro i diritti umani, i beni comuni, la sostenibilità, nel contesto di sfide sempre più urgenti, che ci legano l’uno all’altro come parte di una grande comunità globale.  

 

Ogni paese firmatario è chiamato ad implementare politiche nazionali per realizzare l’Agenda e i suoi 17 obiettivi.

Infatti, esiste una Strategia Italiana dell’ECG, approvata il 28 febbraio 2018 dal Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS), composto da Ministeri, Enti locali, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), Università e le principali reti di organizzazioni della società civile. Il documento  (consultabile al seguente link https://www.info-cooperazione.it/wp-content/uploads/2018/02/Strategia-ECG.pdf) è quindi frutto di un impegno comune e multiattoriale in cui si identificano obiettivi, attori, modalità e contesti dell’ECG per raggiungere tutte le sfere della cittadinanza italiana e promuovere un cambiamento culturale orientato alla sostenibilità, attraverso ad esempio percorsi formativi sia formali (nelle scuole) che informali e nonformali (ad esempio, informazione nei mezzi di comunicazione di massa).

A questo punto, è importante sciogliere la sigla “ASVIS”, contenuta nel titolo dell’evento del 3 giugno.

Cosa è l’ASVIS, e cosa c’entra con l’ECG?

L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) è nata il 3 febbraio del 2016 e riunisce più di 200 soggetti, tra istituzioni, università, centri di ricerca, associazioni e fondazioni. L’impegno dell’ASVIS per promuovere la conoscenza dell’Agenda 2030 ed educare alla cittadinanza globale si traduce in molteplici iniziative, come concorsi, contest, Master universitari e corsi e-learning sull’Agenda, e il Festival dello Sviluppo Sostenibile. Quest’anno il Festival, alla sua seconda edizione, si è svolto dal 22 maggio al 7 giugno e ha visto l’organizzazione di 702 eventi con l’obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere sempre più cittadini sui temi della sostenibilità.  

Siamo arrivati alla domanda finale, e se sei giunto fino a qui, significa che ormai sai cosa è l’Agenda 2030, l’Educazione alla Cittadinanza Globale, l’ASVIS e il Festival che ha organizzato negli ultimi due anni. Ti manca solo un elemento per masticare tutti i concetti racchiusi nel titolo dell’evento.

A cosa ci si riferisce con l’espressione “Generazione Greta”?

È la generazione dei giovani e dei giovanissimi ispirata dall’azione di protesta dell’attivista svedese Greta Thunberg, impegnata nel sensibilizzare l’opinione pubblica e i governanti di tutte le nazioni sui rischi del cambiamento climatico, e sulla conseguente urgenza di adottare politiche che mitighino il fenomeno. Tra le iniziative giovanili più importanti va segnalata quella dei “Fridays For Future”, delle manifestazioni di piazza che con cadenza settimanale – appunto, ogni venerdì – vedono milioni di giovani di tutto il mondo protestare per scuotere i governi affinché i governi affrontino il cambiamento climatico.

Perché il mondo del terzo millennio è un ormai un villaggio globale e globalizzato, dove anche se non possiamo vedere chi c’è all’altro capo del filo, il filo esiste, è reale e si dirama in tante direzioni. Condividiamo gli stessi problemi e abitiamo tutti su un unico pianeta: per imboccare la strada della sostenibilità, serve un impegno trasversale, che va dalle istituzioni, a noi come cittadini.

Consuelo Cammarota

 

 

Workshop contro l’odio in rete

Diciamoci la verità: fare formazione nelle scuole non è facile. Proporre un workshop contro l’hate speech ed il cyberbullismo nelle scuole, ad oggi, non è facile. È un’avventura avvincente, rischiosa, imprevedibile a tratti divertente. Soprattutto è necessario. Sono una psicologa e sono consapevole che purtroppo i dati su bullismo e cyberbullismo, violenza fuori e dentro le classi, online e offline, sono allarmanti e che tutto il sistema scolastico è sottoposto ad una pressione sociale importante.

Per questi ed altri motivi, l’iniziativa dell’ONG COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo di aderire al progetto Digital Transformation per lo sviluppo sostenibile finanziato dal’AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo mi è sembrata da subito una bella opportunità di formazione. Non solo, era l’occasione per entrare in contatto diretto con il vissuto degli adolescenti legato all’uso degli strumenti digitali cercando, al tempo stesso, di favorire modalità più consapevoli e salutari. Riassumere gli incontri avvenuti in questi mesi nelle scuole superiori di Roma è un’impresa impossibile, ma proporre una fotografia dell’esperienza era dovuto. Il nostro obiettivo è stato quello di “riflettere con’’ i ragazzi e i docenti coinvolti tramite la discussione aperta, il role playing, l’uso di video e pagine Web sulle potenzialità ed i rischi di una quotidianità spesa agganciati ai canali informativi online e all’uso massiccio di social network come Instagram, che potenziano pregiudizi e stereotipi ed alimentano, a volte, fenomeni subdoli come l’odio online.

 

Fino a qui tutto bene, ma come percepiscono e digeriscono i minorenni di oggi uno spazio di confronto dedicato a questi temi? E se a gestire questi incontri viene una psicologa mai vista? E non consideriamo tutto l’immaginario fantastico attivato dentro di loro dalla psicologia, nonostante i taboo sulla mia professione si stiano fortunatamente sgretolando piano piano: per parlarne ci vorrebbe un altro articolo.

Torniamo al primo incontro del workshop contro l’hate speech. È stato molto interessante testare la loro reattività contro le fake news (per un bel quiz provare http://factcheckers.it/) e riflettere sulla necessità di confrontare più fonti per uscire dalla ‘bolla filtro’ che le nostre stesse ricerche online creano intorno al nostro sapere. D’altronde la Rete, con la r grande, sembra ricalcare il modus operandi del nostro funzionamento cognitivo. Strumenti cognitivi come la categorizzazione ci permettono, infatti, di semplificare la percezione della realtà classificando ogni aspetto dentro a delle categorie già esistenti: non disperdere energie andando troppo oltre quello che siamo disposti a comprendere è umano. Ogni sistema difende le proprie caratteristiche e tra queste rientrano credenze, stereotipi e pregiudizi. La differenza la fa esserne consapevole o meno.

 

Il banco di prova fondamentale è stato creare le condizioni per far emergere i sentimenti partendo dalla definizione del peggiore, ossia l’odio. Alcuni mi dicono sia sinonimo di offesa, disprezzo, malaugurio, conseguenza della distanza… Non posso generalizzare, ma quando ho provato a suggerire un collegamento tra l’atteggiamento sui social e il fenomeno dell’hate speech le reazioni sono state molto curiose.  Molti adolescenti, infatti, non si sentono direttamente coinvolti nei discorsi d’odio o non hanno consapevolezza di fomentare o essere vittime di questo fenomeno. Tuttavia, quando riporto le storie di personaggi famosi o non (per esempio youtuber) vittime di discorsi d’odio tutti sembrano sapere di cosa parlo. Questo breve articolo vuole dare spazio soprattutto alle loro parole e ai loro contributi.

Nella pratica durante gli incontri è emerso come la loro presenza in rete risponda, più o meno consciamente, a un bisogno di riconoscimento sociale e come chiaramente molti abbiamo già riflettuto, da soli o nel contesto familiare, su cosa voglia dire esporsi quotidianamente sui social (‘’cerchiamo sempre la wifi, siamo consapevoli dei rischi, ma l’uso non significa essere dipendenti’’ e ancora ‘’internet fa compagnia’’, ‘’a casa mi mettono dei limiti’’). In alcune classi la riflessione in piccoli gruppi ha stimolato delle condivisioni molto toccanti. In alcuni casi i ragazzi mi raccontano come un account molto attivo online possa corrispondere a una passività nella vita reale (‘’illusione di una vita interessante, no?’’) e che questo automatismo riempia i vuoti emotivi o serva a mostrare più parti di sé (‘’tutti i narcisi stanno su Instagram, ma non il contrario’’).

 

E cosa succede quando invece che i ‘like’ arrivano i commenti negativi o le offese? Molti mi dicono di non dare troppo peso alle parole di persone che non conoscono, ma alcuni sembrano dubbiosi e un ragazzo usa la metafora di Internet come la neve dove ogni traccia di passaggio è sotto gli occhi di tutti, nel bene e nel male. Insieme discutiamo di come lo schierarsi contro qualcuno o un particolare gruppo (sportivo, religioso, etnico o politico per fare degli esempi) possa essere un effetto del bisogno di definire un ‘outgroup’ per rendere più forte ‘l’ingroup’. Le teorie della psicologia sociale, come quella dell’identità sociale, in effetti ci dicono che il grado in cui gli individui interiorizzano un’appartenenza di gruppo come aspetto significativo del concetto di sé influenza il confronto tra il proprio gruppo e un gruppo ‘altro’ sbilanciato verso la difesa del proprio e di un’identità sociale favorevole. Il discorso è molto ampio e non vanno dimenticati gli innumerevoli aspetti positivi dello sharing. Parliamo anche di emozioni ed intenti positivi in questi mesi e qualche parentesi la dedichiamo all’importanza del rispetto, della condivisione e della meravigliosa finestra sul mondo che gli strumenti tecnologici regalano ogni giorno…

 

Per concludere, propongo agli studenti di creare dei brevi slogan, ashtag o postcard su uno o più temi trattati durante gli incontri. Fornisco loro qualche dritta e l’uso di programmi facili da usare, ma li lascio liberi di decidere le parole, il taglio e le immagini (non coperte da copyright) da usare per il loro fine. Durante l’ultimo incontro li osservo lavorare per tre ore durante le quali dovrebbero pattuire un tema, un metodo di lavoro e creare un prodotto comune da mostrare all’intera classe e proprio durante questo tempo emergono, in modo naturale, tutti quegli atteggiamenti propositivi, proattivi o oppositivi di cui avevamo discusso a parole.

Le immagini che sono capaci di creare sono ora molto dirette ed esplicative (‘’stop ai leoni da tastiera’’, ‘’il problema non è la tecnologia ma l’uso che se ne fa’’) ora invitanti, ironiche o allusive (‘’non mangiate odio, mangiate sushi’’, ‘’tutti boni come er pane’’). Altre postcard fanno riferimento in inglese alla linea sottile tra la libertà di parola o la parola d’odio e alla necessità di scegliere consapevolmente cosa condividere dato che rimarrà online anche in caso di pentimento (ricordando che ‘’l’odio è fuori moda’’). Due in particolare mi sembrano di particolare valore comunicativo perché trasmettono un messaggio (‘’Come rompere l’algoritmo dell’odio? Prova col rispetto’’ e una riflessione sull’evoluzione delle armi, prima materiali ora virtuali) in modo efficace e veloce e potrebbero essere utilizzate come veri strumenti di marketing sociale e civile.

Mi viene da sorridere. Sorrido perché nonostante le difficoltà e gli scenari pessimistici di una ‘digitalizzazione del quotidiano’ vedo emergere la curiosità, il divertimento, la speranza, il senso etico, l’amicizia, la sensibilità e per quello che ne so questi sono ancora valori reali.

Lascio la parola alle immagini.

Ringrazio le scuole superiori che hanno aderito al progetto e tutti coloro che l’hanno reso possibile.

 

 

© Giulia Ulivi

 

 

ASSEMBLEA DEI SOCI 2019

Ogni anno la Ong Comi ha un appuntamento importante, l’assemblea dei soci che, oltre ad un aggiornamento sulle attività e progetti, è anche un momento di famiglia, un rivedersi e incontrarsi per parlare di una passione comune, quella per l’impegno nel volontariato internazionale.

L’assemblea di quest’anno, tenutasi il 6 aprile nella sede dell’organismo, prevedeva anche l’elezione del nuovo direttivo, Presidente e consiglieri.

La partecipazione di volontari “storici”, quelli che hanno tracciato le piste dei primi interventi in Africa e in America Latina, e la presenza di alcuni giovani, reduci da esperienze significative in Senegal e in Etiopia, ha dato un colore speciale a questa giornata. Si è visto il filo d’oro che lega passato e presente, il valore del dono di tanti fratelli e sorelle che non si è limitato all’esperienza di un periodo ma è diventato stile di vita e di impegno, sempre a favore dell’uomo e della sua dignità. E nello stesso tempo ci ha proiettati verso il futuro, con l’immissione di nuovi slanci e nuovi entusiasmi.

Qualcuno potrebbe dire che questa è poesia: è vero, e ci vuole, ci serve, perché la bellezza del volontariato è proprio qui, nella capacità di coniugare la competenza professionale e tecnica con la meraviglia che nasce di fronte ad ogni miracolo che è l’essere umano, colto nella sua bellezza, al di là dell’apparenza, perché creato a immagine di Dio. E questo rende meno arido l’inevitabile e necessario impatto con la realtà economica, con ciò che potremmo definire un carburante che serve a far andare il motore: in una assemblea occorre anche fare i conti con il bilancio… cosa che è stata fatta.

Durante l’assemblea abbiamo potuto fare un rapido excursus sulle attività svolte nell’anno, sugli eventi che hanno permesso di incontrare le diaspore di vari paesi, sulla scuola di conversazione di italiano, che sta acquistando sempre più capacità di servizio, sull’educazione alla cittadinanza globale che ci vede impegnati nelle scuole, sui progetti del servizio civile in Uruguay e in Senegal, sulla collaborazione con altri organismi sempre per progetti di sviluppo. Forse è in occasioni come questa che ci si rende conto di ciò che si è realizzato e di come questo sia stato possibile grazie alla collaborazione e all’impegno di tutti.

Il 6 aprile abbiamo ringraziato la presidente uscente, Anna Cerro, che  ha svolto il suo servizio per 4 mandati, dal 2007 al 2019, con competenza e amore. Nel suo messaggio di saluto e di risposta ai ringraziamenti, per la dedizione con cui in questi anni si è posta a servizio dell’organismo, Anna ha sottolineato la realtà dell’agire come corpo, nella condivisione della passione per l’uomo e per lo sviluppo di tutti i popoli.

Essere presidente di un organismo di volontariato internazionale oggi non è semplice: la burocrazia, le lentezze amministrative, la complessità delle situazioni in cui si innestano i progetti, tutto richiede una buona preparazione nel settore, ma anche e soprattutto, almeno nel caso del Comi, il credere che ogni uomo ha il diritto a vivere con dignità, impegnandosi concretamente per renderlo possibile, con un impegno sia all’estero sia nel proprio ambiente di vita.

Nell’assemblea è stato eletto come Presidente, per il triennio 2019/2022, Giovanni Baglivo, originario di Tricase (si è formato alla scuola di don Tonino Bello), sposato con Anna (con cui condivide lo stesso ideale missionario, la spiritualità di Sant’Eugenio e, da Ausiliario,  il carisma dell’Istituto delle Comi ), e con tre figli, Marta, Mariana e Luca.

Giovanni, con Anna  e la piccola Marta (tre anni all’epoca) ha vissuto un’esperienza missionaria e di volontariato di un anno, nel 1994,  in Uruguay, a Playa Pascual e al Cerro di Montevideo, con un progetto dell’organismo, in strettissima collaborazione con le Comi e gli Omi della delegazione, impegnato nelle attività pastorali (gruppi di famiglie e catechesi) e di promozione sociale.

Già presidente del Comi dal 1998 al 2007, è chiamato di nuovo alla governance del Comi, contando, come dice appunto il termine, governo partecipato, sulla presenza di collaboratori altamente qualificati e sull’apporto dei consiglieri

Il nuovo consiglio infatti è così composto:


Giovanni Baglivo – Presidente e responsabile ad interim del settore progetti estero
Claudio Rosati – Vice Presidente e responsabile settore amministrazione
Paolo Naggar – Responsabile settore progetti Italia
Daniela Pompei – Responsabile settore Comunicazione e Fund Raising
Antonietta Mongiò – Responsabile settore Coordinamento

UN PASTO PER CENTO BAMBINI TALIBÉS

Partecipa anche tu alla grande festa del running il 7 aprile con partenza dai Fori Imperiali e arrivo al Circo Massimo.
Il 7 aprile 2019, in concomitanza con la 25^ Maratona Internazionale di Roma, si svolgerà come da tradizione anche una Stracittadina non competitiva aperta a tutti che coinvolgerà tutti i cittadini.
Sarà un evento nell’evento che consentirà a tutti di vivere una giornata indimenticabile nelle meraviglie della Città Eterna.
Il percorso sarà tutto nel centro storico di Roma e sarà lungo 5 chilometri.

Il costo di iscrizione è di Euro 10 di cui 5 saranno destinati dal COMI al progetto che prevede la preparazione di un pasto settimanale per almeno 100  bambini “talibés” di Kaffrine.

In Senegal le scuole coraniche sono diffusissime. Si tratta di scuole gestite da un maestro coranico che ha il compito di assicurare l’istruzione religiosa agli adolescenti e ai bambini ai lui affidati dalle famiglie. Questi bambini vengono chiamati “talibés”. A causa della mancanza di finanziamenti statali, le scuole raramente riescono a sostenere i bisogni primari di tutti i bambini che accolgono e, per far fronte alle spese, molti maestri chiedono ai bambini di mendicare, fiduciosi del fatto che praticare la carità è dovere di ogni buon musulmano. Nonostante questa carità praticata dalle famiglie locali, pur essendo povere, non è facile coprire le necessità di questi bambini che, loro malgrado, affrontano già in tenerissima età fenomeni come lo sfruttamento, maltrattamenti, la mancanza di cibo, acqua, cure mediche e un’adeguata assistenza sociosanitaria. Per dare una risposta alla tutela di questi minori, il Comi nella città di Kaffrine ha avviato un servizio mensa settimanale: ogni giovedì viene offerto un pranzo a più di cento talibés; si crea così un’occasione per farli socializzare tra loro, conoscerli, ascoltare i loro bisogni, realizzare dei piccoli percorsi di igiene personale, offrire loro qualche ora spensierata di sport e di gioco. Il COMI inoltre, in linea con le istituzioni locali che si occupano della tutela dell’infanzia, organizza anche delle giornate di sensibilizzazione con i maestri coranici sul pericolo della mendicità e la cura dei bambini talibés.

Con i fondi raccolti dalla maratona contribuirai a dare a questi bambini la possibilità di avere un pranzo assicurato una volta a settimana, un sostegno socio-sanitario e l’ascolto da parte dei nostri volontari.

Per info e iscrizioni:

Scrivere una mail
segreteria@comiorg.it

oppure telefonare
06-70451061