Comi

Intervista a Niccolò

Niccolò Rotoloni, 25 anni, agronomo, Cesena, Emilia-Romagna

 

Perché hai scelto di partire per il Servizio Civile Universale in Senegal?

La risposta è da dividere in due parti: ho scelto il Servizio Civile per dedicare un anno della mia vita soltanto a me e a chi avrei conosciuto durante l’esperienza, per riflettere e riposare, ma anche crescere. Ho scelto nello specifico il Senegal perché sin da quando sono bambino ho desiderato scoprire l’Africa e la sua cultura; questo progetto, poi, unisce le mie conoscenze agronomiche a miei interessi personali.

 

A che progetto partecipi? Di che si tratta e qual è il tuo ruolo

Partecipo al Progetto di sviluppo rurale, in particolare mi occupo di supportare e monitorare le attività agricole svolte all’interno di orti comunitari della regione di Kaffrine. Da agronomo è molto stimolante scoprire nuove tecniche di coltivazione e cercare assieme alla persone del luogo una soluzione per migliorare le produzioni.

 

Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare (sia che fosse all’inizio che in corso d’opera) ? Si sono risolte? Se sì, come ?

La prima sfida è stata sicuramente lo scoglio linguistico,  sia con il francese in città sia col wolof nei villaggi, il che mi ha obbligato a lavorare sempre con un interprete. Anche il piano culturale mi ha messo in seria difficoltà all’inizio: abituato ad altri ritmi di vita e a lavorare diversamente, adeguarsi e comprendere è stato complicato ma passati dei mesi ho compreso molto meglio come comunicare e interagire con i locali.

 

Highlights di quest’ esperienza. Qual è la prima immagine/situazione che ti viene in mente pensando al Servizio Civile svolto finora?

Io che mi trovo nel dietro di un pick-up assieme a dei volontari senegalesi e trasportiamo piante di mango e papaya da donare alla popolazione di un villaggio che ci aspettava contentissima. Una volta arrivati è cominciata una festa, con pranzo infinito di benvenuto e danze tradizionali, dove ho ballato anche io. Emozione indescrivibile.

 

Cosa ti ha colpito dell’ambiente in cui ti trovi?

La capacità di rimanere sempre stupito e sorpreso di ciò che accade intorno a me. Ho imparato a non dare più nulla per scontato e a emozionarmi costantemente.

 

3 parole significative

Stupore→ l’essere continuamente spiazzato dalla realtà che mi circonda, nel bene e nel male

Conoscere → continua conoscenza e scoperta del contesto culturale e di me stesso

Inshallah →rappresenta a pieno il modo di lavorare locale. A volte si traduce in un lavoro sbrigativo, che però per le persone di qui è perfetto: se Allah vuole così, va bene. Un po’ come il migliore dei mondi possibili di Leibniz

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è qualcosa che ci tieni venga detto rispetto l’esperienza del Servizio Civile, il Senegal ecc. Qualcosa che assolutamenti vuoi che passi e che si sappia

Ci saranno momenti difficili, dove la lontananza da casa si farà sentire forte. Ma le soddisfazioni che ti donano le persone senegalesi è talmente alta che ne vale assolutamente la pena. Tornando indietro rifarei tutto. Non fermatevi davanti agli ostacoli, sono quelli che a fine esperienza vi ricorderete con più gioia.

Intervista ad Alessandro

Alessandro, 24 Anni, ha studiato spettacolo e comunicazione, Nus, Valle d’Aosta

  

Perché hai scelto di partire per il Servizio Civile Universale in Senegal?

Le motivazioni per cui ho scelto di partire sono molteplici, innanzitutto era il momento adatto, in quanto terminata l’università volevo staccare un po’ dagli studi e vivere un’esperienza di vita vissuta. In più mi ha sempre affascinato l’Africa e desideravo conoscerne le persone e la cultura, inoltre ero anche interessato ad approcciarmi al mondo della cooperazione internazionale. Infine ci sono anche delle motivazioni più pratiche, per esempio il fatto di conoscere il francese mi ha indirizzato verso un paese francofono e anche il numero di domande e posti disponibili nel bando ha, in piccola parte, influenzato la mia scelta.

A che progetto partecipi? Di che si tratta e qual è il tuo ruolo

Io partecipo a un progetto socio-educativo, che mi vede impegnato all’interno delle scuole pubbliche e delle scuole coraniche (daara).

Due volte a settimana intervengo nelle scuole pubbliche sia come sostegno all’insegnante a cui sono stato affiancato, sia con lezioni da me programmate di francese, matematica, arte ed ecologia.

Invece nelle scuole coraniche, il mercoledì, svolgo assieme a due colleghi locali un corso che comprende varie materie che alterniamo tra francese,  matematica, agricoltura, allevamento, arte e mestieri. Il giovedì, invece, programmiamo un pasto all’interno della daara e passiamo del tempo assieme ai bambini, le donne e il marabout, ovvero il capo religioso della daara, nonché insegnante d’arabo e del Corano.

 

Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare (sia che fosse all’inizio che in corso d’opera) ? Si sono risolte? Se sì, come ?

La principale sfida è stata riuscire a stabilizzarmi in un contesto di vita diverso, sia a livello personale che a livello culturale. Infatti appena arrivato a Kaffrine mi ci è voluto del tempo per crearmi dei punti di riferimento e una nuova quotidianità.

Poco alla volta, iniziando a conoscere gli abitanti del luogo, i nuovi colleghi, le attività e gli spazi della città ho cominciato ad ambientarmi e a immergermi in questa realtà, che, essendo totalmente differente dall’Italia, inizialmente disorienta.

Questa prima fase la ricordo comunque con piacere, in quanto la curiosità e la novità di trovarsi in un posto sconosciuto mi ha comunque spinto a reinventarmi e a mettermi in gioco.

  

Highlights di quest’esperienza. Qual è la prima immagine/situazione che ti viene in mente pensando al Servizio Civile svolto finora?

Mi viene in mente la festa del “Grand Magal” di Touba in cui abbiamo vissuto per 3 giorni in un clima surreale di festa, con un sacco di persone sia per la città che nella casa in cui eravamo ospiti, pasti buonissimi e super abbondanti, mangiati a orari impossibili; poi conoscere persone nuove e usanze insolite, il tutto inserito in un’ importante occasione di raccoglimento religioso.

Cosa ti ha colpito dell’ambiente in cui ti trovi?

L’aspetto più affascinante è sicuramente il modo di vivere in comunità, in tutte le azioni quotidiane c’è sempre l’incontro e l’unione tra le persone, sia che siano membri della famiglia o esterni. Sono esemplari il modo di mangiare, tutti assieme dallo stesso grande piatto; o il modo in cui vivono le famiglie, con tutti i membri nella stessa casa; o ancora il fatto che le strade durante il giorno diventino luoghi d’incontro per prendere il té o per discutere. Lo si nota anche dall’aiuto reciproco e lo scambio costante che c’è tra le persone, anche se non si conoscono.

3 parole significative

Adattamento: Questa esperienza ti proietta al di fuori della tua cultura, della tua nazione e delle tue abitudini e ti richiede adattamento a una serie di novità, come la convivenza con gli altri civilisti, che all’inizio sono degli sconosciuti, o i ritmi di vita e di lavoro senegalesi, il grande caldo, il cibo, l’assenza di alcuni servizi e i modi di fare e di interpretare la vita completamente differenti.

Esplorazione: Questa nuova dimensione in cui ti ritrovi immerso ti spinge inevitabilmente a essere curioso e quindi a conoscere le persone, l’ambiente e le usanze che ti circondano, per riuscire realmente a comprenderle. Questo vale anche in una dimensione interiore, in quanto per riuscire a trovare un nuovo equilibrio, bisogna ripensare a diversi aspetti di sé, a molti pensieri e idee a cui si è legati.

Riposizionarsi: in continuità con le altre due parole, alla fine ci si ritrova in una nuova condizione per cui non puoi più comportarti, pensare e lavorare come sei abituato in Europa, ma devi necessariamente “riposizionarti” in un nuovo equilibrio per comprendere e vivere l’insieme di novità che ti circondano.

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è qualcosa che ci tieni venga detto rispetto l’esperienza del Servizio Civile, il Senegal ecc. Qualcosa che assolutamente vuoi che passi e che si sappia

Credo che sia importante non farsi aspettative di alcun tipo, sia prima della partenza che una volta stabiliti, perché in qualsiasi cosa, grande o piccola che sia, il Senegal sa sempre sorprenderti. Capita di trovarsi in situazioni impensabili, come viaggiare in una macchina con un montone nel bagagliaio, oppure che un lavoro programmato e organizzato da tempo non si riesca a realizzare per degli imprevisti per noi inconcepibili, come una semplice dimenticanza o eventi religiosi o culturali che prendono il sopravvento.

Quindi ci vuole del tempo per entrare nelle dinamiche e nelle tempistiche del posto che, soprattutto inizialmente, metteranno alla prova la tua pazienza e la tua incredulità, però saranno proprio queste situazioni a regalare delle emozioni e delle esperienze indimenticabili.

Intervista a Graziana

Graziana Fallasco, 26 anni, veterinaria, Venezia, Veneto


Perché hai scelto di partire per il Servizio Civile Universale in Senegal?

Mi ha parlato di quest’esperienza una mia collega di università: mi ha spiegato le attività che svolgeva e l’esperienza in generale e ho subito deciso di candidarmi.

A che progetto partecipi? Di che si tratta e qual è il tuo ruolo

Caschi bianchi per lo sviluppo rurale in Senegal. Io sono un medico veterinario per cui mi occupo di seguire la parte tecnica dei progetti rurali. Attualmente sto seguendo il progetto “Capre ed asini fase 2” che si occupa di trovare modalità per aumentare la produzione di latte delle capre, soprattutto durante la stagione secca, e di migliorare il benessere degli asini, che qui non sono considerati nient’altro che oggetti da lavoro. L’altro progetto si chiama “Una Sola Salute e uguaglianza di genere” ed è un progetto pilota per lo studio delle zoonosi (ossia le malattie infettive che possono passare dagli animali all’uomo), al fine di capire quali sono i rischi principali, quali sono quelle più diffuse e come poter attuare delle tecniche per diminuirne la diffusione; questo progetto ha come beneficiari principalmente donne e ragazze, sempre più esposte alle infezioni

Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare (sia che fosse all’inizio che in corso d’opera) ? Si sono risolte Se sì, come ?

Le due sfide principali sono state l’adattamento a una cultura totalmente diversa e la lingua. Per quanto riguarda il problema linguistico, la situazione è nettamente migliorata, grazie a uno studio personale e ,soprattutto, alle conversazioni quotidiane. La cultura, invece, è una continua sfida, ci sono molte differenze ma col tempo ho imparato ad apprezzare lo stile di vita senegalese, anche se a volte è più dura del solito. La concezione del tempo, per esempio, è molto diversa dalla nostra ma solo collaborando insieme si può riuscire a trovare un punto d’incontro.

Highlights di quest’ esperienza. Qual è la prima immagine/situazione che ti viene in mente pensando al Servizio Civile svolto finora?

Il Thiebu Thien: è il piatto nazionale, anche patrimonio dell’Unesco. È il protagonista di tutte le cerimonie e i momenti di condivisione ed è particolare in quanto si mangia tutti insieme dallo stesso piatto e quasi sempre con le mani. Rappresenta appieno il simbolo della condivisione, della comunità e dell’accoglienza senegalese.

Cosa ti ha colpito dell’ambiente in cui ti trovi?

Le case di tutti sono sempre aperte: credo sia una particolarità rappresentativa della cultura locale, tutti sono amici e parenti di tutti e quando una persona ha un problema si cerca tutti insieme di risolverlo. Una delle frasi che ho sentito più spesso pronunciare è “On est ensamble”, ossia “siamo insieme”: ogni volta che ringrazio mi viene detta questa frase, sottintendendo che non devo ringraziare perché aiutando me, l’altra persona sta aiutando la propria comunità e quindi anche se stessa.

3 parole significative

Calore. Sia nel senso di temperature molto calde, che nel senso di accoglienza. Le persone qui sono veramente calorose, a tutti piace parlare e condividere le proprie esperienze e conoscere quelle degli altri. I colleghi ci hanno subito fatto sentire accolti e parte della loro comunità, mai degli estranei.

Fissare. Nel senso di “tradurre” le conoscenze che già avevo a livello puramente tecnico in azioni e pratiche tangibili grazie al lavoro sul campo; quindi “fissarle” in mente in modo diverso, nella loro polidimensionalità

Scoprirsi. Riferito principalmente all’attività con i talibés: non ho mai apprezzato particolarmente la compagnia dei bambini in Italia, invece sorprendentemente qui l’attività che preferisco è quella in Dahara con i talibés.

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è qualcosa che ci tieni venga detto rispetto l’esperienza del Servizio Civile, il Senegal ecc. Qualcosa che assolutamente vuoi che passi e che si sappia

Vorrei assolutamente consigliare a chiunque abbia una mezza intenzione di affrontare quest’esperienza di buttarsi e tentarla: non si sarà mai pronti per quello che accadrà e si vivrà, perché i racconti non possono descrivere tutte le sensazioni assurde che si provano, ma ne varrà assolutamente la pena.

 

UNA QUESTIONE DI IDENTITÀ

Figura 1. Foto finale di chiusura del progetto “Mujer Mapuche: Identidad y Territorio” con la presenza dell’autorità del SEREMI (Segreteria Regionale Ministeriale) della regione de “Los Rios”.

Ci troviamo a Malalhue, nel Comune di Lanco, nella XIV regione del Cile chiamata Los Rios, dove il 25,6% degli abitanti si definisce “appartenente ad una popolazione indigena” con riferimento a tutti quelle comunità “che discendono da raggruppamenti umani presenti sul territorio nazionale fin dall’epoca precolombiana, che conservano le proprie manifestazioni etniche e culturali e per i quali la terra è la base principale della loro esistenza e della loro cultura”. Insieme ad altre 8 regioni delle 16 presenti in territorio cileno si pone ad un livello percentuale maggiore rispetto alla media nazionale di 12,8%.

La legislazione cilena riconosce e si impegna nella tutela delle popolazioni indigene attraverso alcuni organismi governativi dedicati come ad esempio la CONADI, la Corporazione Nazionale dello Sviluppo Indigena, nata nel 1993, dalla legge 19.253, i cui obiettivi sono la promozione, il coordinamento e l’esecuzione statale dei piani di sviluppo rivolti alle persone appartenenti alle popolazioni indigene presenti. Quest’ultima, conosciuta anche come Ley Indigena, è uno dei primi organi legislativi che le protegge e riconosce legalmente. Attraverso questo documento e le sue indicazioni, infatti, si presume l’esistenza della diversità culturale ed etnica, autorizzando lo Stato a fornire risorse alle comunità in tutto il paese. Ha rappresentato il primo passo che ha portato all’entrata in vigore nel 2008 della Convenzione ILO n.169, sui diritti dei popoli indigeni e tribali, adottata già nel 1989 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite. Tuttavia, la legislazione è fortemente messa in discussione ancora oggi dalle comunità Mapuche che compongono quasi l’80% delle popolazioni originarie riconosciute nel territorio (nello specifico nel comune di Lanco compongono quasi 1/3 dei cittadini)[1] alle quali non viene legittimata l’identità di popolo-nazione all’interno della Costituzione. Queste cifre ci comunicano come sia forte la presenza nel territorio di persone discendenti da una delle più antiche culture indigene latino-americane.

È in questo contesto che si inserisce ed opera la ONG COMI attraverso il progetto di Servizio Civile Universale “Caschi Bianchi a sostegno della comunità Mapuche in CILE” dal 2021, con la collaborazione del suo partner locale “MEDEMA – Organización Mujeres Emprendedoras”, con l’obiettivo di favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche, proprio nella località di Malalhue. Si propone di farlo attraverso la valorizzazione e conoscenza del patrimonio culturale indigeno ed il rafforzamento delle possibilità professionali offerte dalle attività tradizionali. Il maggior numero di persone provenienti dall’altresì chiamato “Popolo della terra” si concentra nella popolazione giovane e anziana ed è lì che si identificano i potenziali beneficiari di un intervento atto a fornire loro opportunità di mettere a frutto le loro conoscenze e competenze. È per questo motivo che un altro importante proposito del progetto è accrescere la motivazione personale dei ragazzi, attraverso la trasmissione della conoscenza della storia e dell’identità indigena sostenendoli in un percorso di formazione e valorizzazione.

Da un’indagine propria del COMI nel biennio 2018-2019 sulla conoscenza della cultura Mapuche, effettuata nel comune di Lanco su un campione dei giovani tra i 13 e i 19 anni, risulta che solo il 10% di loro la conosce in maniera approfondita. Si nota inoltre che nella stessa località ci sono più di 50 comunità mapuche, registrate con status giuridico, tra cui organizzazioni urbane e rurali, molte delle quali sono organizzazioni femminili, che mirano all’autodeterminazione e al rafforzamento della propria identità e del proprio territorio. Tutto ciò all’interno di una regione dove il mancato senso di inclusione sociale, culturale ed economica tocca soprattutto la popolazione indigena e i più giovani. Lo scardinamento economico e culturale delle tradizioni ancestrali della zona, sta comportando una crisi delle relazioni familiari nelle comunità rurali: l’80% dei Mapuche vive in aree urbane, con una significativa e definitiva perdita delle conoscenze tradizionali sulla coltivazione della terra, sull’artigianato, sulla medicina, sulla storia, sulla filosofia e sulla cultura indigena.

Alla luce di questi fatti, per il secondo anno consecutivo, il COMI in collaborazione con MEDEMA coglie l’opportunità di realizzare un progetto di formazione personale nel contesto della comunità locale di Malalhue.

Questo avviene grazie ai fondi del FFOIP (Fondo per il rafforzamento delle organizzazioni di interesse pubblico), iniziativa promossa dal Ministero della Segreteria Generale del Governo che prevede il finanziamento di diverse organizzazioni e che ha l’obiettivo di promuovere l’interesse generale in settori quali: i diritti dei cittadini, l’assistenza sociale, l’istruzione, la salute, l’ambiente o qualsiasi altro bene comune.[2] Nel concorso FFOIP 2023 (le cui richieste sono aumentate di un 30% comparandole a quelle del 2022[3]) è stata data importanza ai progetti che incentivano soprattutto la partecipazione e l’associatività dei cittadini oltre all’inclusione, all’equità sociale e alla cura dell’ambiente.

“Mujer Mapuche: Identidad y Territorio” (Donne Mapuche: Identità e Territorio), questo è il titolo che individua la proposta di una serie di incontri di formazione che possa proporre degli strumenti utili e validi per la conoscenza della propria identità e la affermazione del proprio io.  Si inseriscono all’interno della macroarea “Impulsando Liderazgos, Participación y Representatividad” (Promuovendo Leadership, Partecipazione e Rappresentatività) e sono rivolti principalmente alle donne (anche se gli incontri sono stati aperti a tutto il pubblico) che fanno parte di associazioni locali, per lo più mapuche, sia che vivano a Malalhue che nelle zone rurali. Nonostante l’attivismo associativo si incontra una difficoltà generalizzata a incentivare la formazione personale ed analizzare i processi politici del paese. La conseguenza si manifesta con una mancanza di interesse e di partecipazione agli stessi, con una parziale consapevolezza dei diritti delle popolazioni indigene e dei possibili cambiamenti futuri a cui volge il Paese. La conoscenza delle proprie capacità e possibilità, oltre che della propria storia, può dare però la possibilità di iniziare un processo di autodeterminazione e autogestione, che permetta di decidere come poter condurre la propria vita e sentirsi protagonisti nel cambiamento.

Attraverso la guida e l’intervento di relatori, tutti, rigorosamente mapuche, si sono potuti trattare diversi temi:

Figura 2. Laboratorio creativo di produzione del proprio albero genealogico all’interno di uno degli incontri.
  1. La famiglia e l’identità. La costruzione socio spirituale e territoriale nel mondo Mapuche si genera attraverso un vincolo fondamentale tra l’essere umano e la natura, con l’obiettivo di vivere una vita in equilibrio. La cosmovisione di questo popolo è legata ai concetti di tuwün (luogo di origine territoriale) e küpal (famiglia) che sono i due elementi fondamentali nell’identificazione della propria identità. È importante anche la connessione con il proprio Melil Fulil Kupalme, traducibile nel concetto di albero genealogico e che identifica le quattro origini familiari nelle figure dei nonni materni e paterni.

Guidati così da Luisa del Carmen Curin Llancavil, formatrice e insegnante del Mapuzungun – la lingua Mapuche – che ci ha accompagnato per tre incontri, approfondendo questi concetti e partecipando ad un laboratorio pratico, dove ogni persona ha realizzato il proprio albero indicando i nomi dei propri cari (nonni, genitori, zii e fratelli). Questo ha permesso ad ogni partecipante di porsi delle domande sulle proprie origini e notare come la conoscenza delle stesse ci caratterizzi e identifichi.

  1. Il concetto del Küme Mogen o Buen Vivir. Difficilmente è traducibile e riconducibile ad un unico significato, ci spiega Guillermo Neftali Jaque Calfuleo, musicista e docente della cultura mapuche. Le definizioni, viste singolarmente, esprimono solo in parte un sentimento di profonda unione armonica dell’uomo con l’ambiente circostante. Al primo termine si possono associare i concetti di: buono, benevolo, bene o tutto ciò che si trova in un certo equilibrio. Al secondo invece: vita, esistenza, soddisfazione o essere (concetto del “qui e ora”). L’uomo appartiene alla Terra (non il contrario) e il legame profondo che si instaura con lei è da considerare sacra. La comprensione profonda di questa relazione porta l’essere umano ad autoregolarsi in base alla natura, a cercare un ordine nella vita dettato innanzitutto dall’osservazione e dal rispetto dell’ambiente in cui si è immersi, un rapporto equilibrato ed interessato alla cura reciproca.

In un successivo incontro è stato anche esposto dal responsabile territoriale in questa regione, Raúl Rupailaf Maichin, il “Plan Buen Vivir”, un’iniziativa presidenziale che nasce dalla necessità di articolare gli sforzi e le risposte progettate dallo Stato, per affrontare il conflitto storico interculturale che comprende le regioni di: Bío Bío, La Araucanía, Los Ríos e Los Lagos.

  1. La salute e il diritto di proprietà della donna Mapuche. Nella visione di questo popolo ancestrale il Buen Vivir ha implicazioni in tutti gli aspetti dell’esistenza, compreso il benestare personale. Perché se vi è una disarmonia con l’intorno, questa si riflette anche interiormente. Gloria Alicia Nahuelpan Allaupan, “Lawentuchefe” (figura medica del Popolo Mapuche) della “Kume Mogen Ruka” dell’ospedale di Lanco, si occupa della gestione della salute di tutti i cittadini attraverso la proposta di una medicina più in linea coi valori tradizionali. Ha raccontato di come sia difficile al giorno d’oggi trovare un avvicinamento da parte della popolazione Mapuche a questi metodi di cura, con una minor incidenza degli stessi, rispetto ad abitanti di altre provenienze. “Il dialogo e l’ascolto stanno alla base della buona riuscita di un percorso di cura e questo processo richiede un periodo che varia per ogni persona” espone Alicia, che integra la proposta di cura con l’utilizzo di preparazioni a base di piante medicinali naturali, secondo la concezione ancestrale. La necessità di un determinato luogo e di un tempo adatto e sufficiente, però, spesso non viene soddisfatta per rimanere in accordo alle norme e al sistema attuale che gestisce la salute.

Infine, si è parlato di diritto di proprietà delle terre con l’avvocatessa Mapuche Carmen Tomasa Caifil, che ha rappresentato la Regione de Los Rios e de Los Lagos, nella stesura della proposta per la nuova Costituzione del 2022. Attualmente il Cile vede ancora vigente, anche se con alcune riforme, quella approvata nel 1980 durante il periodo di dittatura instaurato dal generale Pinochet. [4] Tuttavia, sta vivendo un processo costituente per rinnovarla.

Ci troviamo infatti nel periodo successivo alla vittoria del rechazo (la sua declinazione è stata votata dal 62% degli elettori), avvenuta a settembre 2022, di un ordinamento più attento nei confronti dei diritti sociali, dei popoli originari, della parità di genere e della difesa dell’ambiente. Con risultato un nuovo plebiscito, indetto per il prossimo dicembre 2023, per la proposta di un secondo testo da parte del nuovo consiglio costituzionale, insediatosi il 7 giugno dello stesso anno[5].

Alla luce di ciò, è stato possibile ricercare, leggere ed evidenziare come la Costituzione e il Codice civile stabiliscano le norme, insieme alla Convenzione 169 dell’OIL sui Popoli Indigeni e Tribali e dalla Legge Indigena n° 19.253, che regolano il diritto al possesso di terre e la loro restituzione ai popoli originari.

Prima della Ley Indigena, la politica attuata dallo Stato cileno sin dall’Indipendenza (1818) è stata sostanzialmente caratterizzata dalla volontà di assimilare gli autoctoni ed è possibile distinguere, a seconda del contesto socio-storico, i mezzi impiegati e le forme “legali” di espropriazione di una lunga storia di negazione della specificità indigena e di espropriazione dei territori, abitati da questi popoli.

Grazie alle domande e ai dibattiti creatisi si sono sollevate questioni e risolti dubbi, ma soprattutto è aumentato il livello di consapevolezza e conoscenza, strumenti necessari per difendere i propri diritti.

In conclusione grazie a questo percorso di 8 incontri è stato possibile riunire parte della comunità (anche se con difficoltà) per discutere, esporre, dibattere e ricordare che è ancora importante riunirsi e parlarsi “faccia a faccia” per affrontare i problemi, cercare soluzioni e anche cogliere l’opportunità di incontrarsi e passare del buon tempo insieme.

Questi sono gli obiettivi che ci siamo posti come associazione COMI ed è stata una grande opportunità per noi volontari. Ci ha permesso di introdurci già dall’inizio della nostra esperienza in questo contesto, ma soprattutto di instaurare un primo contatto con comunità locale, con le persone, che sono infondo il motore che genera il cambiamento verso un futuro migliore.

Matteo Tabacchi, volontario COMI in Cile

Figura 3. Momento di confronto e compilazione di un questionario di valutazione finale del progetto “Mujer Mapuche: Identidad y Territorio”

[1] Instituto Nacional de Estadísticas (INE) – Censo 2017-2018

[2] Dal sito ufficiale del Governo Cileno: https://fondos.gob.cl/ficha/segegob/ffoip/

[3] Dal sito ufficiale del Governo Cileno: https://fondodefortalecimiento.gob.cl/

[4] https://www.memoriachilena.gob.cl/602/w3-article-92403.html

[5] Biblioteca del Congreso Nacional de Chile (BCN) 

Cosa mi mancherà del Servizio Civile

Napoli,

24 giugno 2023

Solo tre giorni fa sono tornato da quest’incredibile esperienza che è stato il mio anno di servizio civile con COMI a Malalhue, in Cile. Mi sento in un caleidoscopio di emozioni che ancora devo metabolizzare. La cosa più bella e che più mi manca di quest’anno adesso è la relazione con le mie alunne e i miei alunni dei corsi di chitarra e di italiano. Ho in mente l’immagine nitida delle dita di una mia alunna mapuche, che all’inizio erano goffe, ma in poche settimane iniziarono quella danza sulle corde di chi sta prendendo confidenza con lo strumento. Mi stupiva come ascoltare un bambino che impara a parlare. Sembrava qualcosa di magico: una persona anche grazie a me aveva imparato a usare un linguaggio nuovo, in grado di trasmettere emozioni anche al di là delle barriere linguistiche e culturali. Mi sentivo come un artigiano, un fabbro dell’immateriale, come se insieme alle alunne stessi forgiando qualcosa sul momento. Mi mancano i loro occhi vispi e curiosi, le battute, le risate che ci facevamo insieme, le confidenze che a volte mi hanno fatto. Una delle cose che più mi facevano piacere era di essere riuscito a costruire con alcune di loro delle relazioni autentiche, come pure il fatto che, almeno loro in quel contesto, non mi vedessero come “l’italiano”, ma come Luigi. La stessa alunna di cui parlavo prima all’inizio diceva, fra il serio e il faceto, che loro, per il fatto di non saper ancora suonare, erano “analfabete”. Uno dei momenti più belli del laboratorio, invece, fu quando lei fece un discorso per dire che imparare a suonare le era servito in termini di autostima. Ora, quando si vedeva con dei suoi parenti, diceva, mostrava quello che aveva imparato e cantavano insieme. Pensai che quello era l’obiettivo ultimo del laboratorio, ancor di più dell’imparare a suonare, che eravamo riusciti a portare a termine: costruire speranza (che è il motto del COMI) e far sì che le persone coltivino degli interessi, amino qualcosa, credano di nuovo in se stesse nonostante le molte problematiche di quel contesto, carente, fra l’altro, di spazi di aggregazione. Spesso sono uscito dalle mie lezioni (sia di chitarra che di italiano) facendo letteralmente i salti di gioia. Ho scoperto che mi piace molto insegnare in questi contesti di educazione non formale, anche se forse non mi piacerebbe in una scuola. Mi hanno ringraziato e alcuni mi hanno fatto addirittura regali. Alcuni alunni, prima che io partissi, mi hanno invitato a casa propria o sono venuti a trovarci a casa nostra, salutandoci con affetto. Mi hanno dato le prime soddisfazioni professionali della mia vita e non li dimenticherò mai. Mi sto sentendo con alcuni di loro. C’è chi mi chiede ad esempio: “Com’è l’Italia?”. Mi piace questo candore e questa curiosità di fronte alla mia diversità. Una volta delle mie allieve mi domandarono: “Ma tu quando sei venuto hai visto l’oceano dall’aereo?” E mi guardavano stupite come se venissi da un altro pianeta, stessa reazione di chi a volte mi chiedeva da dove venissi, per poi esclamare: “Dall’Italia?! Wow… e che ci fai qui in Cile?”. La condizione di straniero è a volte difficile, ma anche affascinante e dà una prospettiva per certi versi privilegiata sul contesto in cui si è inseriti: se da un lato all’inizio l’outsider spesso non conosce le dinamiche locali e si trova spaesato, dall’altro non è abituato alle contraddizioni di quella società e, proprio per questo, a volte può notarle e decostruirle meglio.

Mi mancherà anche avere la bella sorpresa di visite inaspettate da ragazzi che stavamo conoscendo (lì spesso la gente non avvisa prima di passare da casa di un amico o di un parente) e di trovarci a parlare e a scherzare con loro la sera fuori al giardino. Mi mancherà lavorare al Centro Comunitario e ascoltare le canzoni di Víctor Jara in sottofondo e mi mancheranno degli incontri casuali, come quello che ebbi con due impiegati della nettezza urbana, che, riconosciutomi come “l’italiano”, mi salutarono dicendo: “¡Hola Italia!”  e, dopo qualche chiacchiera e battuta, mi dissero: “¡Bienvenido a nuestro país!” (Benvenuto nel nostro Paese!). Piccole cose di una quotidianità fuori dagli schemi, tanto che varie persone in Italia non hanno capito assolutamente il senso di quello che sono andato a fare in Cile. Questa non convenzionalità e l’incontro fra mondi diversi mi stimolano e mi affascinano enormemente. Tale incontro non è sempre innocente o roseo e porta con sé le sue contraddizioni, ma anche una bella dose di leggerezza e uno sguardo ironico sul mondo.

Luigi Donadio

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

Verso l’utopia dell’interculturalità

La differenza tra multiculturalità e interculturalità fa parte dell’ABC degli studi sociali, si apprende il primo giorno di lezione e ci accompagna lungo tutto il nostro percorso professionale. Questi due concetti sono così importanti da essersi diffusi dall’ambito accademico a quello quotidiano attraverso i mass media: è comune leggerli o ascoltarli nelle notizie legate alla questione dell’immigrazione, ma è facile confonderli o addirittura pensare che significhino la stessa cosa, dato che in molte occasioni questi media ne danno per scontato il significato, causando più disinformazione che informazione.

Per chiarire i dubbi, secondo il dizionario CEAR (Commissione spagnola per l’aiuto al rifugiato), il multiculturalismo si riferisce alla presenza nello stesso luogo di culture diverse che non sono correlate tra loro o che possono o meno avere un rapporto di coesistenza. Mentre secondo l’autore Carlos Giménez Romero, “l’interculturalità è un rapporto di armonia tra le culture; in altre parole, un rapporto di scambio positivo e di convivenza sociale tra attori culturalmente differenziati”.

Sulla base di queste definizioni, possiamo affermare che il Cile in generale e Malalhue in particolare sono un territorio multiculturale, dove la cultura cilena egemonica1 coesiste con culture come quella peruviana, venezuelana, boliviana, haitiana o mapuche. Quest’ultima, la cultura mapuche, è fortemente rappresentata dalla quantità di popolazione presente nel territorio: fino al 31,83% della popolazione della comuna di Lanco si dichiara mapuche2. Tuttavia, è una cultura che rischia fortemente di scomparire a causa della lunga storia di persecuzione, repressione e assimilazione forzata di questo popolo indigeno. Tanto che ci sono mapuche che ritengono che prima di entrare nell’interculturalità si deve recuperare e rieducare in tutto ciò che riguarda la cosmovisione mapuche, per evitare il rischio di accettazione e assimilazione di un’altra cultura dovuta all’ignoranza della propria. Nelle parole di Victorino Antilef Ñanco, ex membro della Commissione costituzionale e residente del Lof Mapu di Antilhue,

“Quello che bisogna fare è avviare, indurre un processo interno affinché la gente torni a valorizzare e praticare antichi saperi espressi in pratiche come la tessitura, l’oreficeria, la creta, i telai, il cibo, il che è un sistema abbastanza completo, sviluppato in ambiente Mapunche.”

 

 

La nostra ONG COMI vuole realizzare questa utopia che sembra essere l’interculturalità a Malalhue, ed è con questo scopo che realizziamo diverse attività, come la scuola di lingua italiana o l’evento Ethno Chile.

A seguito dell’incalzante richiesta della popolazione e grazie all’aiuto della nostra responsabile della sicurezza, nonché insegnante di storia del Liceo “República de Brasil”, Diosa del Rosario Villaroel Pineda, la scorsa settimana è stata inaugurata la scuola di italiano dopo che, con nostra sorpresa, si erano riempiti tutti i posti in due giorni dalla pubblicazione dell’attività.

La lezione inizia ogni mercoledì alle 18:30 nella biblioteca comunale “Gabriela Mistral”, dove gli studenti imparano le basi della lingua italiana, come i saluti e il vocabolario quotidiano, in un contesto di educazione non formale che funge da pretesto per svolgere un scambio culturale e linguistico tra le persone partecipanti.

Fra queste attività, va notato quanto sia stato importante per noi promuovere l’incontro internazionale di musica popolare Ethno Chile 2023 a Malalhue. Ethno è il programma dell’ONG Jeunesses Musicales International per musica folclorica, tradizionale e world music. Fondata nel 1990, si rivolge a giovani musicisti con la missione di far rivivere e mantenere vivo il patrimonio culturale mondiale. Al centro di Ethno c’è il suo approccio democratico di apprendimento tra pari in base al quale i giovani si insegnano a vicenda la musica dei propri paesi e culture. È una pedagogia non formale che si è affinata negli ultimi 33 anni, abbracciando i principi del dialogo e della comprensione interculturale.

Per questo evento abbiamo messo in contatto il gruppo di musicisti Ethno Chile (provenienti da Germania, Austria, Svezia, Francia, Italia, Estonia, Giappone, USA, Brasile e Cile) con il gruppo locale di musica mapuche Meli Kvrvf. Hanno trascorso la giornata condividendo e imparando insieme una canzone del gruppo e integrando gli strumenti tradizionali mapuche al resto dell’orchestra attraverso questa pedagogia non formale e democratica.

Guillermo Neftalí Jaque Calfuleo, membro del gruppo Meli Kvrvf nonché educatore tradizionale e artista culturale, del Lof Külche mapu, Puquiñe, nella comuna di Lanco, ci ha raccontato come ha vissuto l’esperienza:

“L’interazione è stata molto piacevole, molto intima, sincera per così dire. Siamo stati in grado di condividere, nonostante le barriere linguistiche, ciò che è la musica mapuche, il tema e presentare gli strumenti.

È stato molto arricchente potersi liberare dai pregiudizi in un’esperienza di condivisione con altre persone di altri luoghi e culture.

…non ci aspettavamo l’invito al concerto di chiusura a Villarrica e lo abbiamo accolto con grande gioia, è stata un’esperienza che non capita tutti i giorni, soprattutto per persone mapuche che fanno musica mapuche più tradizionale, una bellissima opportunità che resterà nella memoria per sempre.”

Come abbiamo accennato all’inizio, potrebbe sembrare che raggiungere l’interculturalità sia un’impresa impossibile, e, quand’anche fosse possibile, non è qualcosa che si ottiene in due giorni; deve essere promossa dallo Stato attraverso leggi, piani e programmi che diventino efficaci e approdino nella realtà di scuole, aziende, comuni, comunità ecc. E mentre tutto questo arriva, ci auguriamo che le nostre attività, se non realizzano quella comunione culturale, facciano presente la realtà multiculturale del territorio e ci avvicinino a quell’obiettivo a lungo termine che è l’interculturalità.

 

 

Manuel Pastor Tomás

Volontario COMI in Cile

 

 

 

1L’egemonia culturale si riferisce al dominio mantenuto tramite mezzi ideologici o culturali. Di solito si ottiene attraverso le istituzioni sociali, che consentono a chi detiene il potere di influenzare fortemente i valori, le norme, le idee, le aspettative, la visione del mondo e il comportamento del resto della società.

 

2Fonte: Censos de Población y Vivienda (Censimenti di Popolazione e Abitazione) 2002 e 2017, Instituto Nacional de Estadísticas (INE).

Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (prima parte)

Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (prima parte)

di Luigi Donadio

 

Ogni settimana, delle donne campesinas percorrono un lungo tragitto a piedi con una chitarra in spalla. Dalle comunità rurali mapuche entrano nella piccola cittadina di Malalhue e arrivano al Centro comunitario, sede della delegazione municipale del comune di Lanco, nel sud del Cile. Arrivano anche giovani e madri che portano i loro figli. Lì li aspetto io, accordiamo le chitarre e iniziamo.

Il laboratorio musicale del COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo), la ONG con cui stiamo svolgendo il servizio civile, è iniziato da circa due mesi e abbiamo due incontri settimanali, uno per il livello base e un altro per quello intermedio, con sette alunni in totale. Come tutte le attività realizzate dal COMI, è completamente gratuito, in accordo al principio di gratuità, che è uno di quelli su cui si fonda l’operato dell’ONG. Ci sono persone mapuche e cilene non indigene, bambini, adolescenti e alunne adulte.

«Ho 63 anni e voglio imparare a suonare la chitarra!»

è la prima cosa che ha detto un’alunna, come se si sentisse a disagio, come se per qualche oscura ragione fosse tardi. In un territorio complesso, carente di spazi per attività culturali e ricreative, dal clima freddo e piovoso (d’inverno si supera la media di 20 giorni di pioggia al mese), ognuno sospende i propri impegni quotidiani e per un’ora e mezza alla settimana si dedica a coltivare quest’interesse.

Telar (tessuto) mapuche che raffigura una mappa del territorio di Malalhue. Ogni rombo rappresenta una comunità indigena (lof), separata dalle altre da linee che equivalgono a fiumi o ad altri elementi naturali. Museo “Despierta Hermano”, Malalhue, Lanco.

Il laboratorio non mira solo a formare bravi chitarristi, ma soprattutto a far esprimere le proprie emozioni a bambini e adolescenti, che qui generalmente hanno un’attitudine passiva, e a creare aggregazione sociale fra diverse generazioni e culture, come quella mapuche e quella cilena non indigena. Qui ci sono grandi disuguaglianze economiche (soprattutto la minoranza indigena si trova tra le fasce più svantaggiate della popolazione), c’è un welfare assente o insufficiente, l’alcolismo e la tossicodipendenza sono diffusi fin dai 13 anni e si assiste a una forte emigrazione, soprattutto dei giovani. A queste problematiche prova a far fronte il nostro progetto di servizio civile, portato avanti dal COMI in stretta collaborazione col nostro partner locale MEDEMA (Mujeres Emprendedoras de Malalhue1). Il progetto si pone questi obiettivi:

·       favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche di Malalhue;

·       combattere dipendenze da Alcool e droga, specie fra i giovani;

·       rafforzare la motivazione personale dei giovani;

·       sostenere i giovani in un percorso di formazione ed empowerment2, per metterli in condizione di programmare e mettere in pratica il proprio progetto di vita professionale e personale.

Il progetto intende raggiungere questi obiettivi attraverso:

·        la valorizzazione e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale indigeno, soprattutto tra i giovani;

·       il rafforzamento delle possibilità professionali offerte dalle attività tradizionali;

·       potenziare la motivazione personale attraverso la trasmissione della conoscenza della storia e dell’identità indigena Mapuche tra i giovani della regione di Los Ríos per promuovere la crescita di individui più consapevoli.

Quindi, il nostro progetto ha due target principali di beneficiari: i giovani e i Mapuche. Questi ultimi, secondo il censimento del 2017 realizzato dall’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), sono un popolo originario che rappresenta il 10% della popolazione cilena (1,7 milioni di abitanti), il 24% di quella regionale e il 31% di quella del comune di Lanco3. Questo territorio ha molte potenzialità, che però spesso non sono sufficientemente valorizzate, mentre potrebbero tradursi in sbocchi lavorativi, anche relativi alle tradizioni indigene. Un’area del progetto è la cosiddetta “palestra culturale”, che coinvolge le persone del posto in diverse attività, come una formazione sui diritti indigeni, un laboratorio di danze popolari europee, tenuto da Marta, e il laboratorio musicale. La musica è uno degli aspetti della loro cultura (assieme all’artigianato, l’agricoltura ecosostenibile, l’arte, il mapunzungun4, le piante medicinali e la filosofia indigena) che stiamo cercando di diffondere grazie a esperti e cultori locali.

Alcuni bambini che frequentano il laboratorio musicale si sono presentati, oltre che in spagnolo, anche in mapunzungun, lingua che qui viene insegnata anche a scuola e salvaguardata, tramite varie iniziative, dal pericolo di estinzione a cui sta andando incontro. Anche la conoscenza della propria cultura è meno diffusa che in passato fra i membri di questo popolo originario, soprattutto fra i più giovani. Ci sono mapuche che si fanno cambiare il cognome (uno dei tratti più evidenti dell’appartenenza al proprio popolo) o che comunque si vergognano della propria identità indigena, perché hanno interiorizzato una mentalità promossa da politiche statali spesso monoculturali e che negavano i diritti indigeni (ancora oggi, la Costituzione cilena vigente, varata nel 1980 durante la dittatura di Pinochet, non riconosce i popoli indigeni presenti nel territorio nazionale). Per questo, ascoltare dei bambini presentarsi in mapunzungun è stato emozionante per me.

Quando ci siamo presentati, ho chiesto a ognuno di dire come si era avvicinato alla musica e perché voleva imparare a suonare la chitarra.

«Mio padre aveva imparato a suonare la chitarra da suo padre e quando ero piccola la suonava con mucho corazón (con molto cuore, con molta passione, ndr)» dice un’alunna, mentre con la gestualità e l’espressione comunica molto di più che con le parole. «Era così bello ascoltare come esprimeva le sue emozioni…».

«Ho saputo che c’era quest’opportunità e visto che da tempo volevo imparare, mi sono detta: “Bene, questa è la mia occasione”» racconta un’altra partecipante. «Io lavoro nelle bancarelle del mercato nella piazza e ho visto che c’era una locandina affissa, poi ho parlato con il professore e gli ho chiesto se c’erano ancora posti disponibili. Nella mia famiglia nessuno suona la chitarra e nessuno mi poteva insegnare».

Ma soprattutto, ci sono alunne a cui non manca l’entusiasmo: «Sono qui perché ho voglia di fare tantissime cose, anche di imparare a ballare la cueca (la danza nazionale cilena, ndr)!».

Fin da subito, questo non è stato solo un corso di insegnamento tecnico di uno strumento, ma anche uno spazio di condivisione. Alcuni parlano delle proprie travagliate vicende familiari o di coppia. Sembra che qui le persone abbiano un grande bisogno di parlare con qualcuno. E io a volte non so bene come rispondere. Ascolto, cerco di essere empatico. Ma a volte mi sento molto impotente. Una volta ho detto loro che attraverso la musica si può esprimere ogni tipo di emozione e persino quelle peggiori, come per magia, si trasformano in qualcosa di bello, di artistico, e che ci avvicina agli altri, che abbiano età, lingue o culture diverse.

Non è stato facile iniziare, anche perché, come in vari progetti di servizio civile all’estero, c’è bisogno di una grande intraprendenza e inventiva per sperimentarsi in ruoli nuovi. Io, ad esempio, non avevo mai insegnato a suonare in un corso strutturato e saper fare qualcosa, ovviamente, non significa saperlo anche insegnare. Quindi, sono andato avanti per prove ed errori, ma soprattutto mi sono fatto aiutare da chi ha molta più esperienza di me, cioè l’associazione culturale “Papageno”, che realizza laboratori gratuiti di musica folclorica latinoamericana e mapuche in molte scuole del territorio. Sono andato a volte incontro agli inevitabili fallimenti di chi si avventura in territori a lui sconosciuti, ma provo una soddisfazione enorme quando vedo gli alunni esercitarsi e raggiungere risultati importanti. Mi emoziona vedere la scintilla che si accende nei loro occhi quando capiscono un concetto di musica che mi sembrava difficile da spiegare e, quando dalle loro dita inizialmente goffe esce il suono armonioso di un accordo, mi stupisce come sentire un bambino che inizia a parlare. Alcuni sono molto motivati e io pian piano sto gestendo il mio ruolo con più sicurezza. Stiamo provando una canzone per un concerto di fine anno, che si intitola Alulú e appartiene al patrimonio della musica folclorica cilena. È un villancico, cioè una canzone natalizia a tema religioso, che ha conosciuto molte versioni, fra cui spicca quella di Violeta Parra.

 (continua)

 

Luigi Donadio

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

 

 

Note

1 “Donne Imprenditrici di Malalhue”.

2 Il termine indica i processi attraverso cui cittadini svantaggiati acquisiscono maggiore potere, tramite la partecipazione in associazioni cittadine e ad altri progetti socio-politici. Tali processi includono anche la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali che in quello della vita politica e sociale (per approfondire cliccare qui).

 

3 Per i dati a livello regionale e comunale, cliccare qui.

 

4 Il mapunzungun è la lingua parlata dai Mapuche di questa zona. Ne esistono diverse varianti, di cui la più nota è in genere il mapudungun (parlato più a nord).

 

5 In Sudamerica, solo Il Cile, l’Uruguay e il Suriname mancano di un riconoscimento esplicito dei popoli indigeni presenti nei rispettivi territori. Per approfondire il tema, anche riguardo alla Costituzione cilena dell’80, cliccare qui.

Nuovi volontari in Servizio Civile COMI a Malalhue, Lanco.

Dopo alcuni giorni di viaggio siamo giunti finalmente nella sede del nostro anno di servizio civile. Si tratta della città di Malalhue, nel comune di Lanco, regione di Los Ríos, nella macrozona Sur. Al nostro arrivo siamo stati splendidamente accolti dai rappresentanti di Medema, la Organización Mujeres Emprendedoras de Malalhue, nostro partner locale.

Il progetto a cui Comi e Medema collaborano mira al rafforzamento del ruolo dei giovani, sostenendo il loro percorso personale, identitario e professionale, attraverso la diffusione fra i giovani della storia e della cultura mapuche.

Nella regione sono presenti, come in tutto in Cile, gravi disuguaglianze che si evidenziano nel campo dell’educazione, della salute, dell’accesso ai servizi e alle risorse, con particolare svantaggio per i popoli originari. La preziosa eredità sociale e culturale mapuche è in pericolo a causa del modello di sviluppo imposto dalle politiche neoliberali cilene a partire dagli anni ‘70.  La stessa Malalhue è circondata da pini ed eucalipti, piante non autoctone, monoculture in mano alle imprese forestali che alterano l’equilibrio ambientale della regione e che hanno ridotto notevolmente i terreni coltivabili. Da un’indagine portata avanti dal Comi nel 2018-19 è emerso che il 90% dei giovani del comune di Lanco fra i 13 ei 19 anni dichiara di conoscere poco o superficialmente la cultura Mapuche. Questa precaria condizione identitaria, unita alla forte disoccupazione ed emigrazione giovanile, è una delle cause principali dell’alto consumo di alcol e droga tra i giovani.

Nel nostro primo incontro con Medema abbiamo avuto modo di presentarci e di conoscere le donne contadine e imprenditrici che lo compongono, e nonché le loro famiglie. Il loro lavoro è tanto difficile quanto importante. Da anni, esse portano avanti un nuovo progetto di vita e di lavoro collettivo, nel solco della tradizione comunitaria mapuche.

Attraverso il programma di sviluppo rurale condividono momenti tipici della tradizione agraria indigena, in particolar modo per quanto riguarda la coltura dei fagioli e delle piante medicinali. Patrocinano ed organizzano fiere e mercati nei quali vendono prodotti agricoli, ma anche artigianali, come la lana intessuta con il telaio tradizionale. La vita agricola, salute ed il benessere fisico, la trasmissione della cultura ancestrale si mescolano nei progetti che queste donne portano avanti quotidianamente, lottando contro la disgregazione del proprio tessuto sociale.

Per noi civilisti Comi è un privilegio ed un’opportunità poter condividere una parte di questo percorso insieme a loro. Da parte nostra, con il supporto del nostro supervisore locale, Pilar Reuque, intendiamo innanzitutto fornire tutto l’aiuto possibile a Medema nei suoi progetti. Vogliamo proporre diverse attività nelle scuole del paese, ad esempio laboratori di teatro, di musica, di utilizzo della tecnologia, ed altre rivolte alla cittadinanza, come una radio comunitaria, tornei sportivi, presentazioni di libri ed eventi culturali.

Siamo appena arrivati, e stiamo iniziando a comprendere la complessità di una realtà così affascinante e piena di contraddizioni. Di fronte a noi ci sono tante sfide impegnative ma stimolanti. Abbiamo una grande voglia di metterci in gioco e soprattutto di apprendere.

Il primo appuntamento e banco di prova sarà martedì 2 Agosto, in occasione dell’inaugurazione del mercato in piazza Malalhue. Speriamo di riuscire a dare il nostro apporto in modo utile e costruttivo. Pewkayall!

Trawün Mapuche a Malalhue

 

Trawün1 Mapuche a Malalhue: verso una nuova Costituzione plurinazionale

A Malalhue, Région de los rios, si è svolto venerdì 14 e sabato 15 gennaio il Trawün Mapuche Constituyente Fütawillimapu2, con la presenza dei costituenti Victorino Antilef, Natividad Llanquileo, la machi3 Francisca Linconao e Alexis Caiguan, eletti nell’assemblea costituente nei seggi riservati per i pueblos originarios del Cile, le popolazioni di queste terre prima che vi arrivassero Colombo e gli europei.

Il processo costituente in Cile ha avuto inizio formalmente con il referendum del 25 ottobre 2020, sotto il governo di Sebastian Piñera, in carica fino all’11 marzo 2022, nel tentativo di disinnescare le forti proteste iniziate nell’ottobre 2019 e placatesi soltanto a causa della pandemia da covid a marzo 2020; queste contestazioni, denominate in Cile estallido social, hanno portato in piazza milioni di persone, dando vita a manifestazioni massive che sono partite da Santiago e si sono diffuse in tutto il Paese.

Il 15 e 16 maggio 2021 si è votato per scegliere le e i 155 membri dell’assemblea costituente, nella quale 17 seggi sono riservati alle popolazioni originarie; di questi ben sette seggi sono destinati al pueblo Mapuche, due al pueblo Aymara, uno per i pueblos diaguita, colla, atacameño, quechua, yagán, kawésqar, chango y rapa nui, mentre il pueblo afrodiscendente cileno è rimasto escluso. Oltre ai seggi riservati ai pueblos originarios, un altro passo storico nel loro riconoscimento è rappresentato dall’elezione come presidenta della Convención constitucional di Elisa Loncon, accademica, linguista e attivista mapuche. La costituente inoltre vede una forte maggioranza di forze di sinistra, molte delle quali  apartitiche e indipendenti dagli storici partiti cileni.

La Costituzione che è in processo di scrittura e che dovrebbe essere approvata con un referendum ad agosto o settembre 2022, salvo rinvii, andrebbe a sostituire quella del 1980, emanata dal consiglio di Stato del regime militare di Pinochet e quindi sua eredità diretta, approvata con un referendum e successivamente modificata soltanto in alcune parti. L’intenzione delle forza di sinistra che partecipano alla Convención Constitucional è quella di cambiarlo todo, di cambiare completamente il sistema, creare un Cile che riconosca i diritti civili e sociali, con un’attenzione particolare ai temi della democratizzazione del sistema politico, della riduzione delle disuguaglianze, della salute, dell’educazione, del femminismo, dell’ambiente e dei diritti all’acqua. 

Per quanto riguarda i pueblos e nazioni preesistenti allo stato cileno, l’inclusione nel processo di scrittura costituzionale passa per la creazione della Commissione sui  Diritti dei Popoli indigeni e Plurinazionalità, incaricata di elaborare un “Documento base” fondato sul diritto proprio dei pueblos originarios e i trattati internazionali, come la Convenzione ILO 169 e la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni della Nazioni Unite, che garantiscono la partecipazione dei popoli originari nelle decisioni che possono riguardarli4. Per poter elaborare tale Documento base, sono stabiliti cinque principi fondamentali, in base ai quali si è stilata un catalogo di diritti da includere nella nuova Costituzione, se condivisi dai popoli originari. 

Il primo è il principio di Plurinazionalità e libera determinazione dei popoli, e reclama la creazione di un Cile plurinazionale, che riconosca in Costituzione l’esistenza di diverse nazioni preesistenti allo Stato cileno con diritto all’autodeterminazione, sfidando di fatto la nozione occidentale dello Stato che si fonda sull’assunto dell’unità inscindibile di Stato e nazione. 

Il secondo principio riguarda l’interculturalità e la decolonizzazione, e si propone di decolonizzare il pensiero per poter riconoscere, su un piano di uguaglianza e rispetto mutuo, le diverse forme di conoscenza, le differenze tra le culturale e le loro forme di concepire, vedere e conoscere il mondo, rendendo possibile un dialogo orizzontale che dia valore alle differenze.

Il terzo fondamento è il Buen Vivir, vivere bene, chiamato Kume Mongen dal pueblo Mapuche e Suma Qamaña dal pueblo Aymara. Si tratta della vita in pienezza, una forma di vivere in equilibrio e in comunità, nella quale gli essere umani e la natura si complementano; una convivenza pacifica nella quale la persona è in armonia con se stessa, con le altre persone e con la natura che la circonda. 

Il quarto garantisce la cura e il rispetto dei diritti della natura, individuandola anche come soggetto di diritto, e riconosce i popoli originari come curtoni degli equilibri naturali nei loro territori ancestrali, oltre al vincolo spirituale dei popoli con i loro territori.  

Il quinto principio stabilisce infine l’uguaglianza e la proibizione della discriminazione, ribandendo che le persone  i popoli originari sono liberi e uguali a tutte le altre persone e popoli, e per questo non possono essere distriminati nell’esercizio dei loro diritti, in partucolare in relazione alla loro origine e identità indigena5.

Nonostante le speranze riposte nel processo costituente, ovviamente le forze politiche presenti nella Convención sono diverse, e ci sono forti timori riguardo alle reali possibilità di approvazione del testo attraverso il referendum, e diverse perplessità riguardo ai tempi limitati a disposizione delle e dei Costituenti e alla necessità della maggioranza dei due terzi in assemblea per poter inserire norme nel testo costituzionale, fattori che potrebbero disinnescare, almeno in parte, la radicalità delle istanze. 

Il Trawün, che si è svolto in occasione delle Settimane territoriali, è stato organizzato da Victorino Antilef e da Carmen Caifil, candidati in coppia elettorale per garantire la parità di genere ed eletti come rappresentanti Mapuche della Région de los Ríos nella Costituente; Victorino Antilef non solo rappresenta le Regioni di Los Ríos, Los Lagos y Aysén nella Convenzione, ma è originario proprio dalla Comunità Mapuche de Antilhue, nella Comuna di Lanco. Lo scopo dell’incontro era da un lato quello di dialogare con le comunità Mapuche della Région de los Ríos sui principi, le istanze e i punti fondamentali da inserire nella nuova Costituzione, in modo da poterli proporre alle diverse Commissioni, dall’altro quello di incentivare le comunità stesse a proporre norme da inserire nel testo costituzionale, dal momento che per le popolazioni indigene sono previste modalità particolari di proposta6, con numeri molto inferiori rispetto alle normali iniziative di legge.

Tuttavia, le popolazioni originarie non hanno un’opinione omogenea rispetto al processo costituente e alla fiducia da dare alle istituzioni; durante il primo giorno di riunione sono sorti parecchi dubbi sull’opportunità per la popolazione Mapuche di partecipare a un’istanza convocata dallo Stato, insertandosi in un processo per il riconoscimento dei diritti dei pueblos originarios all’interno dello Stato cileno, di fatto fortificando lo stesso sistema statale responsabile di aver sottratto le terre al pueblo Mapuche. Da un lato, il popolo Mapuche ha un trattato ancora vigente con lo Stato cileno, il trattato di Tapihue del 1825, che riconosce le terre al Sud del Bio Bio come territorio Mapuche, dall’altro l’inserimento in una logica statale rischia di disinnescare le possibilità di autonomia e autogoverno delle popolazioni originarie.

Durante le due giornate di lavoro svoltesi a Malalhue, c’è stato un primo momento di discussione durante il quale questi temi, dubbi, perplessità, paure e critiche sono state evidenziate e dibattute, e un secondo momento in cui, alla luce anche delle discussioni precedenti, ci si è divisi in gruppi di lavoro e si è provato a fare delle proposte più concrete rispetto a ciò che si vuole inserire nella nuova Costituzione, al netto della sfiducia della sua efficacia reale per il pueblo Mapuche. Come ha rimarcato la machi Francisca Linconao, che è stata in carcere per la sua attività di defensora dei diritti umani e dei territori ancestrali Mapuche in opposizione all impresa Palermo, l’obiettivo ultimo è l’autonomia e l’autodeterminazione del pueblo Mapuche, nonché il recupero di tutte le terre ancestrali che sono state sottratte alle comunità; le singole persone, comunità o loffe7 possono e devono scegliere se includere o meno il sostegno al processo istituzionale tra le strategie, o se proseguire la lotta con altre modalità e seguendo altri cammini.

Essere in Cile in questo momento storico di cambiamento è sicuramente un’opportunità per poter osservare da vicino il processo, sia dal punto di vista istituzionale sia per come viene recepito dalle persone del territorio, e per poter seguire da vicino come si evolverà il processo di scrittura della nuova Costituzione cilena.

1Riunione in cui si prendono decisioni, accordi

2Gran territorio del Sud in Mapudungun

3Figura spirituale Mapuche, colei che cura le malattie e comunica con gli spiriti

4Consulta_Indigena-Documento_Base-es.pdf

5Consulta_Indigena-Documento_Base-es.pdf

6Sono sufficienti infatti 3 comunità o 5 associazioni o 3 associazioni rappresentanti dei pueblos originarios o un cacicato riconosciuto o 120 persone appartenenti a pueblos originarios.

7É la forma basica di organizzazione sociale del pueblo mapuche, consistente in un clan familiare o lignaggio che riconosce l’autorità di un lonco.

 

Iniziano le nuove attività di COMI a Malalhue

Dopo due mesi e mezzo in Cile, durante i quali siamo stati accolti e inseriti con delicatezza e attenzione nel contesto di Malalhue, abbiamo iniziato ad individuare alcuni dei bisogni più evidenti e provare a proporre delle attività per affrontarli. Quello di Malalhue, Région de los rios, Chile, è un contesto complesso, nel quale è difficile cogliere immediatamente le dinamiche di relazione tra le persone e le famiglie, i rapporti con il mondo umano e non umano, il complesso tessuto di scambi materiali e immateriali, di doni e restituzioni che si configura in una trama di simboli da decifrare e interpretare costantemente.

In questo contesto così complesso, una delle prime questioni che abbiamo individuato è la scarsità di stimoli artistici e culturali, soprattutto per le persone più giovani che abitano la comunità, e l’assenza di spazi di aggregazione nei quali sia possibile creare comunità e relazioni, stimolare la creatività, pensare e agire collettivamente. Per questo abbiamo pensato di proporre tre percorsi, che si svilupperanno in primis durante il periodo estivo, ma che probabilmente proseguiranno per tutto l’anno, cercando di raggiungere persone di età e interessi diversi.

In primo luogo abbiamo deciso di proporre un centro estivo, per offrire ai bambini e alle bambine di Malalhue un contesto educativo e di divertimento, nel quale sperimentare modi diversi di stare insieme, distinte forme artistiche, attività di cooperazione e di espressione. Ogni mercoledì, nel tardo pomeriggio per poter sopravvivere al caldo intenso dell’estate malalhuina, ci troviamo nel campo di futbol per condividere un momento con bimbi e le bimbe, giocando, facendo laboratori di costruzione, stimolando le loro capacità espressive attraverso giochi teatrali e di espressione, raccontando storie per incentivare la loro creatività. 

Un’altra attività che stiamo promuovendo è lo yoga, pensato per stimolare le persone a prendersi dei momenti per loro stesse, per equilibrarsi e prestare attenzione al proprio corpo e alla relazione del proprio corpo con la mente; ogni giovedì Angi guida le persone che partecipano agli incontri in diverse asana e in un rigenerante momento di rilassamento, lo yoga nidra. Un’attività come lo yoga offre la possibilità di prendersi cura del proprio corpo e della propria mente, e di alleviare i dolori derivanti dagli sforzi fisici quotidiani e intensi cui le persone di Malalhue sono abituate.

In ultimo, ogni giovedì organizziamo un cineforum nella piazza o nel centro comunitario di Malalhue, proiettando ogni volta un film che possa stimolare una riflessione o un dibattito con le persone. Per poter convogliare i diversi interessi ed età, alternando un film rivolto alle famiglie, ai bambini e alle bambine, con l’intento di offrire loro un momento di aggregazione e di divertimento comune, a uno rivolto ai ragazzi e alle ragazze, per provare a costruire con loro uno spazio di riflessione collettiva, un luogo in cui incontrarsi in modo nuovo e differente. 

Tutte le attività hanno ricevuto una calda accoglienza da parte delle autorità locali, tanto che sono supportate e proposte in collaborazione con l’Area Delegazione Municipale di Malalhue del Comune di Lanco, ufficio introdotto recentemente dal neo sindaco Juan Rocha Aguilera.

Speriamo di poter proporre presto altre attività qui a Malalhue!