Comi

Cosa mi mancherà del Servizio Civile

Napoli,

24 giugno 2023

Solo tre giorni fa sono tornato da quest’incredibile esperienza che è stato il mio anno di servizio civile con COMI a Malalhue, in Cile. Mi sento in un caleidoscopio di emozioni che ancora devo metabolizzare. La cosa più bella e che più mi manca di quest’anno adesso è la relazione con le mie alunne e i miei alunni dei corsi di chitarra e di italiano. Ho in mente l’immagine nitida delle dita di una mia alunna mapuche, che all’inizio erano goffe, ma in poche settimane iniziarono quella danza sulle corde di chi sta prendendo confidenza con lo strumento. Mi stupiva come ascoltare un bambino che impara a parlare. Sembrava qualcosa di magico: una persona anche grazie a me aveva imparato a usare un linguaggio nuovo, in grado di trasmettere emozioni anche al di là delle barriere linguistiche e culturali. Mi sentivo come un artigiano, un fabbro dell’immateriale, come se insieme alle alunne stessi forgiando qualcosa sul momento. Mi mancano i loro occhi vispi e curiosi, le battute, le risate che ci facevamo insieme, le confidenze che a volte mi hanno fatto. Una delle cose che più mi facevano piacere era di essere riuscito a costruire con alcune di loro delle relazioni autentiche, come pure il fatto che, almeno loro in quel contesto, non mi vedessero come “l’italiano”, ma come Luigi. La stessa alunna di cui parlavo prima all’inizio diceva, fra il serio e il faceto, che loro, per il fatto di non saper ancora suonare, erano “analfabete”. Uno dei momenti più belli del laboratorio, invece, fu quando lei fece un discorso per dire che imparare a suonare le era servito in termini di autostima. Ora, quando si vedeva con dei suoi parenti, diceva, mostrava quello che aveva imparato e cantavano insieme. Pensai che quello era l’obiettivo ultimo del laboratorio, ancor di più dell’imparare a suonare, che eravamo riusciti a portare a termine: costruire speranza (che è il motto del COMI) e far sì che le persone coltivino degli interessi, amino qualcosa, credano di nuovo in se stesse nonostante le molte problematiche di quel contesto, carente, fra l’altro, di spazi di aggregazione. Spesso sono uscito dalle mie lezioni (sia di chitarra che di italiano) facendo letteralmente i salti di gioia. Ho scoperto che mi piace molto insegnare in questi contesti di educazione non formale, anche se forse non mi piacerebbe in una scuola. Mi hanno ringraziato e alcuni mi hanno fatto addirittura regali. Alcuni alunni, prima che io partissi, mi hanno invitato a casa propria o sono venuti a trovarci a casa nostra, salutandoci con affetto. Mi hanno dato le prime soddisfazioni professionali della mia vita e non li dimenticherò mai. Mi sto sentendo con alcuni di loro. C’è chi mi chiede ad esempio: “Com’è l’Italia?”. Mi piace questo candore e questa curiosità di fronte alla mia diversità. Una volta delle mie allieve mi domandarono: “Ma tu quando sei venuto hai visto l’oceano dall’aereo?” E mi guardavano stupite come se venissi da un altro pianeta, stessa reazione di chi a volte mi chiedeva da dove venissi, per poi esclamare: “Dall’Italia?! Wow… e che ci fai qui in Cile?”. La condizione di straniero è a volte difficile, ma anche affascinante e dà una prospettiva per certi versi privilegiata sul contesto in cui si è inseriti: se da un lato all’inizio l’outsider spesso non conosce le dinamiche locali e si trova spaesato, dall’altro non è abituato alle contraddizioni di quella società e, proprio per questo, a volte può notarle e decostruirle meglio.

Mi mancherà anche avere la bella sorpresa di visite inaspettate da ragazzi che stavamo conoscendo (lì spesso la gente non avvisa prima di passare da casa di un amico o di un parente) e di trovarci a parlare e a scherzare con loro la sera fuori al giardino. Mi mancherà lavorare al Centro Comunitario e ascoltare le canzoni di Víctor Jara in sottofondo e mi mancheranno degli incontri casuali, come quello che ebbi con due impiegati della nettezza urbana, che, riconosciutomi come “l’italiano”, mi salutarono dicendo: “¡Hola Italia!”  e, dopo qualche chiacchiera e battuta, mi dissero: “¡Bienvenido a nuestro país!” (Benvenuto nel nostro Paese!). Piccole cose di una quotidianità fuori dagli schemi, tanto che varie persone in Italia non hanno capito assolutamente il senso di quello che sono andato a fare in Cile. Questa non convenzionalità e l’incontro fra mondi diversi mi stimolano e mi affascinano enormemente. Tale incontro non è sempre innocente o roseo e porta con sé le sue contraddizioni, ma anche una bella dose di leggerezza e uno sguardo ironico sul mondo.

Luigi Donadio

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

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