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Le attività musicali del COMI a Malalhue, Cile (prima parte)

di Luigi Donadio

 

Ogni settimana, delle donne campesinas percorrono un lungo tragitto a piedi con una chitarra in spalla. Dalle comunità rurali mapuche entrano nella piccola cittadina di Malalhue e arrivano al Centro comunitario, sede della delegazione municipale del comune di Lanco, nel sud del Cile. Arrivano anche giovani e madri che portano i loro figli. Lì li aspetto io, accordiamo le chitarre e iniziamo.

Il laboratorio musicale del COMI (Cooperazione per il mondo in via di sviluppo), la ONG con cui stiamo svolgendo il servizio civile, è iniziato da circa due mesi e abbiamo due incontri settimanali, uno per il livello base e un altro per quello intermedio, con sette alunni in totale. Come tutte le attività realizzate dal COMI, è completamente gratuito, in accordo al principio di gratuità, che è uno di quelli su cui si fonda l’operato dell’ONG. Ci sono persone mapuche e cilene non indigene, bambini, adolescenti e alunne adulte.

«Ho 63 anni e voglio imparare a suonare la chitarra!»

è la prima cosa che ha detto un’alunna, come se si sentisse a disagio, come se per qualche oscura ragione fosse tardi. In un territorio complesso, carente di spazi per attività culturali e ricreative, dal clima freddo e piovoso (d’inverno si supera la media di 20 giorni di pioggia al mese), ognuno sospende i propri impegni quotidiani e per un’ora e mezza alla settimana si dedica a coltivare quest’interesse.

Telar (tessuto) mapuche che raffigura una mappa del territorio di Malalhue. Ogni rombo rappresenta una comunità indigena (lof), separata dalle altre da linee che equivalgono a fiumi o ad altri elementi naturali. Museo “Despierta Hermano”, Malalhue, Lanco.

Il laboratorio non mira solo a formare bravi chitarristi, ma soprattutto a far esprimere le proprie emozioni a bambini e adolescenti, che qui generalmente hanno un’attitudine passiva, e a creare aggregazione sociale fra diverse generazioni e culture, come quella mapuche e quella cilena non indigena. Qui ci sono grandi disuguaglianze economiche (soprattutto la minoranza indigena si trova tra le fasce più svantaggiate della popolazione), c’è un welfare assente o insufficiente, l’alcolismo e la tossicodipendenza sono diffusi fin dai 13 anni e si assiste a una forte emigrazione, soprattutto dei giovani. A queste problematiche prova a far fronte il nostro progetto di servizio civile, portato avanti dal COMI in stretta collaborazione col nostro partner locale MEDEMA (Mujeres Emprendedoras de Malalhue1). Il progetto si pone questi obiettivi:

·       favorire la transizione verso una maggiore uguaglianza sociale della minoranza Mapuche di Malalhue;

·       combattere dipendenze da Alcool e droga, specie fra i giovani;

·       rafforzare la motivazione personale dei giovani;

·       sostenere i giovani in un percorso di formazione ed empowerment2, per metterli in condizione di programmare e mettere in pratica il proprio progetto di vita professionale e personale.

Il progetto intende raggiungere questi obiettivi attraverso:

·        la valorizzazione e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale indigeno, soprattutto tra i giovani;

·       il rafforzamento delle possibilità professionali offerte dalle attività tradizionali;

·       potenziare la motivazione personale attraverso la trasmissione della conoscenza della storia e dell’identità indigena Mapuche tra i giovani della regione di Los Ríos per promuovere la crescita di individui più consapevoli.

Quindi, il nostro progetto ha due target principali di beneficiari: i giovani e i Mapuche. Questi ultimi, secondo il censimento del 2017 realizzato dall’Instituto Nacional de Estadísticas (INE), sono un popolo originario che rappresenta il 10% della popolazione cilena (1,7 milioni di abitanti), il 24% di quella regionale e il 31% di quella del comune di Lanco3. Questo territorio ha molte potenzialità, che però spesso non sono sufficientemente valorizzate, mentre potrebbero tradursi in sbocchi lavorativi, anche relativi alle tradizioni indigene. Un’area del progetto è la cosiddetta “palestra culturale”, che coinvolge le persone del posto in diverse attività, come una formazione sui diritti indigeni, un laboratorio di danze popolari europee, tenuto da Marta, e il laboratorio musicale. La musica è uno degli aspetti della loro cultura (assieme all’artigianato, l’agricoltura ecosostenibile, l’arte, il mapunzungun4, le piante medicinali e la filosofia indigena) che stiamo cercando di diffondere grazie a esperti e cultori locali.

Alcuni bambini che frequentano il laboratorio musicale si sono presentati, oltre che in spagnolo, anche in mapunzungun, lingua che qui viene insegnata anche a scuola e salvaguardata, tramite varie iniziative, dal pericolo di estinzione a cui sta andando incontro. Anche la conoscenza della propria cultura è meno diffusa che in passato fra i membri di questo popolo originario, soprattutto fra i più giovani. Ci sono mapuche che si fanno cambiare il cognome (uno dei tratti più evidenti dell’appartenenza al proprio popolo) o che comunque si vergognano della propria identità indigena, perché hanno interiorizzato una mentalità promossa da politiche statali spesso monoculturali e che negavano i diritti indigeni (ancora oggi, la Costituzione cilena vigente, varata nel 1980 durante la dittatura di Pinochet, non riconosce i popoli indigeni presenti nel territorio nazionale). Per questo, ascoltare dei bambini presentarsi in mapunzungun è stato emozionante per me.

Quando ci siamo presentati, ho chiesto a ognuno di dire come si era avvicinato alla musica e perché voleva imparare a suonare la chitarra.

«Mio padre aveva imparato a suonare la chitarra da suo padre e quando ero piccola la suonava con mucho corazón (con molto cuore, con molta passione, ndr)» dice un’alunna, mentre con la gestualità e l’espressione comunica molto di più che con le parole. «Era così bello ascoltare come esprimeva le sue emozioni…».

«Ho saputo che c’era quest’opportunità e visto che da tempo volevo imparare, mi sono detta: “Bene, questa è la mia occasione”» racconta un’altra partecipante. «Io lavoro nelle bancarelle del mercato nella piazza e ho visto che c’era una locandina affissa, poi ho parlato con il professore e gli ho chiesto se c’erano ancora posti disponibili. Nella mia famiglia nessuno suona la chitarra e nessuno mi poteva insegnare».

Ma soprattutto, ci sono alunne a cui non manca l’entusiasmo: «Sono qui perché ho voglia di fare tantissime cose, anche di imparare a ballare la cueca (la danza nazionale cilena, ndr)!».

Fin da subito, questo non è stato solo un corso di insegnamento tecnico di uno strumento, ma anche uno spazio di condivisione. Alcuni parlano delle proprie travagliate vicende familiari o di coppia. Sembra che qui le persone abbiano un grande bisogno di parlare con qualcuno. E io a volte non so bene come rispondere. Ascolto, cerco di essere empatico. Ma a volte mi sento molto impotente. Una volta ho detto loro che attraverso la musica si può esprimere ogni tipo di emozione e persino quelle peggiori, come per magia, si trasformano in qualcosa di bello, di artistico, e che ci avvicina agli altri, che abbiano età, lingue o culture diverse.

Non è stato facile iniziare, anche perché, come in vari progetti di servizio civile all’estero, c’è bisogno di una grande intraprendenza e inventiva per sperimentarsi in ruoli nuovi. Io, ad esempio, non avevo mai insegnato a suonare in un corso strutturato e saper fare qualcosa, ovviamente, non significa saperlo anche insegnare. Quindi, sono andato avanti per prove ed errori, ma soprattutto mi sono fatto aiutare da chi ha molta più esperienza di me, cioè l’associazione culturale “Papageno”, che realizza laboratori gratuiti di musica folclorica latinoamericana e mapuche in molte scuole del territorio. Sono andato a volte incontro agli inevitabili fallimenti di chi si avventura in territori a lui sconosciuti, ma provo una soddisfazione enorme quando vedo gli alunni esercitarsi e raggiungere risultati importanti. Mi emoziona vedere la scintilla che si accende nei loro occhi quando capiscono un concetto di musica che mi sembrava difficile da spiegare e, quando dalle loro dita inizialmente goffe esce il suono armonioso di un accordo, mi stupisce come sentire un bambino che inizia a parlare. Alcuni sono molto motivati e io pian piano sto gestendo il mio ruolo con più sicurezza. Stiamo provando una canzone per un concerto di fine anno, che si intitola Alulú e appartiene al patrimonio della musica folclorica cilena. È un villancico, cioè una canzone natalizia a tema religioso, che ha conosciuto molte versioni, fra cui spicca quella di Violeta Parra.

 (continua)

 

Luigi Donadio

Casco Bianco COMI a Malalhue, Cile

 

 

Note

1 “Donne Imprenditrici di Malalhue”.

2 Il termine indica i processi attraverso cui cittadini svantaggiati acquisiscono maggiore potere, tramite la partecipazione in associazioni cittadine e ad altri progetti socio-politici. Tali processi includono anche la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali che in quello della vita politica e sociale (per approfondire cliccare qui).

 

3 Per i dati a livello regionale e comunale, cliccare qui.

 

4 Il mapunzungun è la lingua parlata dai Mapuche di questa zona. Ne esistono diverse varianti, di cui la più nota è in genere il mapudungun (parlato più a nord).

 

5 In Sudamerica, solo Il Cile, l’Uruguay e il Suriname mancano di un riconoscimento esplicito dei popoli indigeni presenti nei rispettivi territori. Per approfondire il tema, anche riguardo alla Costituzione cilena dell’80, cliccare qui.

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